Dopo la biografia della Regina Maria Antonietta di cui vi ho parlato tempo addietro (https://www.orlandomagazine.it/2021/10/16/maria-antonietta-una-vita-involontariamente-eroica/), voglio portarvi tra le pagine di quest’altro capolavoro dello scrittore austriaco Stefan Zweig, unico nel suo genere per la perizia storica, la dovizia di particolari e la straordinaria capacità di consegnare al lettore l’anima dei protagonisti delle sue opere.
La storia narrata è quella di un’altra regina leggendaria, Maria Stuarda di Scozia, uno dei personaggi femminili più divisivi e controversi di tutti i tempi, una figura misteriosa e affascinante su cui è stata scritta qualsiasi cosa, pagine e pagine di commoventi poesie, romantiche tragedie ed emozionanti opere liriche in cui viene tratteggiata ora come spregiudicata assassina, ora come martire innocente, frivola intrigante per i detrattori inglesi, degna di beatificazione per i patrioti scozzesi.
Un fato avverso grava sull’esistenza di questa sciagurata donna, condannata ad essere una pedina nella scacchiera della politica europea sin dalla nascita (1542) e per il resto della sua vita. A soli sei giorni è già regina di Scozia a seguito della morte prematura del padre Giacomo V, a cinque anni è costretta ad abbandonare la sua terra per sfuggire alle grinfie del prepotente Enrico VIII d’Inghilterra e condotta in Francia come promessa sposa del delfino Francesco II che sposa nel 1558 per poi salire al trono al suo fianco l’anno successivo. A soli diciassette anni Maria Stuarda era già diventata tutto quello che gli altri si aspettavano da lei, sarebbe molto probabilmente vissuta all’ombra del marito fino alla fine dei suoi giorni e annoverata dai libri di storia come una delle tante sovrane consorti di cui si ricorda a malapena il nome, ma il destino aveva in serbo per lei un futuro molto più travagliato di quello che avrebbe mai potuto immaginare, un destino tragico che l’avrebbe però consacrata nella leggenda.
(Maria Stuarda e Francesco II)
Quando dopo appena un anno di matrimonio il cagionevole marito muore infatti per una banale otite e il potere politico torna momentaneamente nelle mani della dispotica suocera Caterina de’ Medici (reggente del nuovo erede ancora minorenne) con cui i rapporti sono già incrinati da tempo, Maria Stuarda pensa prima di chiudersi in convento rinunciando a ogni onore, “ma la tentazione della vita è ancora troppo grande” ed è proprio in questo momento che “viene chiaramente alla luce il tratto determinante del suo carattere, il suo duro orgoglio maschile, immenso e indomabile” che la spinge a non restare “dove è solo la numero due”. La giovanissima vedova decide quindi di tornare a governare la sua natìa Scozia ma capisce ben presto che la situazione è molto più complessa di quanto avesse immaginato: il Paese, povero e corrotto, è letteralmente dilaniato dalla Riforma calvinista per la quale si sono innescate feroci lotte fratricide fra i fedeli cattolici, che accolgono con gioia il ritorno della loro alleata, e quelli protestanti, che invece sono spalleggiati dall’attuale reggente, il fratellastro di Maria James Stuart, conte di Moray, e ancor più dalla potente cugina destinata a diventare la sua acerrima nemica, Elisabetta I, regina della confinante Inghilterra.
Nelle scelte e nello scontro fra queste due donne leggendarie così diverse fra loro, seppur consanguinee, è racchiusa la fine di un’epoca storica che travalica la rivalità personale e segna inesorabilmente il destino futuro dei loro due Paesi e dell’intera Europa: “…costretta a scegliere tra onore e passione, Maria Stuarda da vera donna non opta per il suo essere regina, ma per il suo essere donna. […] Niente dà al suo personaggio maggiore grandezza del fatto che, per amore di pochi istanti di vita intensamente vissuta, ha buttato via quasi con disprezzo il regno, il potere e la sua dignità. Elisabetta invece non fu mai capace di una simile totale dedizione, per un misterioso motivo: come affermò Maria Stuarda nella sua famosa lettera piena di odio, Elisabetta fisicamente ‘non era come le altre donne’. Non le era negata solo la maternità, ma probabilmente anche la forma naturale del pieno abbandono femminile. Non per sua scelta, come diede a intendere, rimase tutta la vita la ‘virgin Queen’, e anche se alcune notizie contemporanee sui difetti fisici di Elisabetta sono poco attendibili, è fuor di dubbio che una qualche malformazione fisica o psichica deve avere intaccato le sfere più profonde della sua femminilità.[…] Dietro all’intima differenza di personalità si innalzano imponenti come ombre gigantesche i grandi contrasti del tempo. Non fu certo un caso se Maria Stuarda fu l’antesignana della vecchia religione cattolica ed Elisabetta la protettrice della Riforma; questa scelta di campo evidenzia simbolicamente che ciascuna delle due regine impersonava una diversa visione del mondo; Maria Stuarda quella ormai moribonda del mondo medievale, Elisabetta quella dell’epoca moderna alle porte. Nel loro duello assistiamo alla svolta di un’epoca. Maria Stuarda – e ciò rende così romantica la sua figura – difende una causa superata, anacronistica, cadendo per essa come un ultimo, coraggioso paladino.[…] Insiste rigida sulle tradizioni e non supera la concezione dinastica della monarchia. È convinta che il paese sia legato al sovrano, ma non viceversa; […] ha regnato soltanto sulla Scozia, e mai per la Scozia. Come la sua lingua nella poesia e nella conversazione rimase per tutta la vita la francese, anche i suoi pensieri e i sui sentimenti non sono mai divenuti scozzesi, nazionali; non ha vissuto né è morta per la Scozia, ma unicamente per mantenere il suo titolo di regina. In fondo Maria Stuarda non ha regalato niente di sé alla propria terra, se non la leggenda della propria vita.[…] Ciò che ha assegnato a Elisabetta un tale rango tra i monarchi dell’epoca è la sua volontà di non voler regnare sull’Inghilterra, ma di essere soltanto l’amministratrice della volontà del popolo inglese, l’interprete di una missione nazionale; ha capito la tendenza del tempo, il passaggio da un’era autocratica a una costituzionale.[…] Infinite volte (cosa che Maria Stuarda non fa mai) sacrifica i propri desideri al bene collettivo e nazionale. La miglior salvezza dal tormento interiore è buttarsi nell’azione; Elisabetta ha trasformato la sua sfortuna come donna nella fortuna del suo Paese. Questa donna senza figli, senza uomini, ha sublimato a livello nazionale tutto il suo egoismo, tutto il suo amore per il potere; la più nobile delle sue ambizioni era di essere grande agli occhi dei posteri attraverso la grandezza dell’Inghilterra, e ha veramente vissuto solo per questa futura grande Inghilterra…”.
(Maria Stuarda ed Elisabetta I)
Il primo ufficiale punto di rottura fra le due avviene il 29 luglio 1565, quando la bella regina scozzese convola a seconde nozze con Enrico Stuart, Lord Darnely, suo cugino di primo grado. L’unione fa infuriare Elisabetta poiché non sono non le viene chiesto il benestare (essendo l’uomo un suddito inglese), ma il matrimonio fra i due minaccia gravemente la sua posizione essendo entrambi pretendenti al trono in quanto discendenti diretti di Margherita Tudor, la sorella maggiore di suo padre, Enrico VIII. Gli eventuali eredi della coppia avrebbero ereditato entrambe le rivendicazioni e, di conseguenza, sarebbero stati prossimi al trono d’Inghilterra.
(Maria Stuarda e Lord Darnley)
Da un certo punto di vista possiamo affermare che l’affascinante neo sposo sia stato fatale per entrambe: Darnely ha fatto avverare la paura più grande di Elisabetta, poiché fu proprio suo figlio concepito con Maria ad ereditare il trono d’Inghilterra, ma fu anche e soprattutto la causa della tragica fine della consorte. Infatti, dopo un breve idillio iniziale, idealizzato più che altro dalla natura eccessivamente romantica e sognatrice di Maria Stuarda, il matrimonio naufraga repentinamente appena comincia a palesarsi la natura prepotente e meschina del bel rampollo inglese che arriva addirittura ad aggredire prima la devota moglie incinta, nel tentativo infruttuoso di provocarle un aborto, e poi ad assassinare brutalmente, in combutta con i lord protestanti, il di lei fedele confidente italiano Davide Rizzio. Questa straziante cospirazione segna il punto di non ritorno, l’amore smisurato di un tempo lascia posto a un odio ancora più potente che spinge l’affranta Maria ad esautorare e allontanare il marito dalla corte in attesa della giusta occasione per appagare la sua sete di vendetta.
La sventurata però ci ricasca, ha bisogno di sentirsi viva e amata in questo Paese natìo che le sembra ora più estraneo e ostile che mai e ancora una volta lascia ingenuamente che un uomo decida del suo destino. Lui è James Hepburn, conte di Bothwell, un avventuriero arrivista e spregiudicato, primo consigliere del regno e comandante dell’esercito, da sempre fedele alla sua regina e alla causa cattolica. I due sono infatti amici da molto tempo, lei gli ha persino scelto una moglie bella e nobile, ma uno stupro inaspettato (e forse in parte sperato) da parte dell’uomo stravolge per sempre quel che restava del mutevole cuore della sovrana e della sua credibilità pubblica già precaria: “Tutti i pilastri che hanno finora sorretto la sua vita, l’onore, la dignità, la decenza, l’orgoglio, la sicurezza e la saggezza, crollano: ormai buttata, scaraventata a terra, vuole soltanto scivolare sempre più giù, continuare a cadere e perdersi. Una nuova, sconosciuta voluttà l’ha travolta, e lei la gusta fino all’annientamento, inebriata e bramosa: bacia con umiltà la mano dell’uomo che ha annientato il suo orgoglio di donna, aprendola alla nuova estasi della dedizione…”. Si rende conto perfettamente che quest’uomo istintivo non la ama, che ha solo ceduto a impulsi bestiali di una natura maschia e impenitente, ma anziché allontanarsi inorridita da una persona così ingrata e superficiale, pur di legarlo a sé fino alla morte, arriva a promettergli addirittura la corona, incurante del baratro senza ritorno in cui questa scelta l’avrebbe irrimediabilmente trascinata: “Invece di staccarsi orgogliosamente da quest’uomo ingrato, invece di dominarsi e controllarsi, questa donna ubriaca d’amore si inginocchia davanti alla sua indifferenza per trattenerlo. La sua arroganza di un tempo si è trasformata in una spaventosa e folle voluttà di umiliazione. Invoca, implora, esalta se stessa, si offre come una merce all’amato che non vuole amarla. Ha perso così profondamente e radicalmente il senso della propria dignità che, dimentica della regalità di un tempo, gli elenca, come una donna al mercato, i sacrifici fatti per lui, continuando a ripetergli in maniera insistente, addirittura indiscreta, tutta la sua più servile sottomissione.[…]Questa via passa sul cadavere di Darnley. Perché il sangue di lei possa unirsi a quello di lui, deve essere versato dell’altro sangue…”. Affinché Bothwell possa diventare re per vie legittime è necessario il sacrificio dell’attuale sovrano rifugiatosi da tempo nella resistenza paterna di Glasgow (dove per altro giace gravemente fiaccato e sfigurato dal vaiolo). Ancora oggi non sappiamo se Maria sia stata una lucida spalla o una vittima circuita, resta il fatto che sia stata proprio lei a condurre con astuzia l’ignaro Darnley nella dimora di Kirk o’Field in cui venne assassinato nella notte fra il 9 e il 10 febbraio 1567 da una congiura ordita dall’amante.
(Maria Stuarda e James Hepburn, conte di Bothwell)
Per Maria è la fine di tutto. Ritenuta già unanimemente colpevole dall’intera Scozia, nessuno crede al suo immediato matrimonio riparatore con l’amante Bothwell inscenato per nascondere una gravidanza peccaminosa, e proprio ora che ha ottenuto tutto ciò che desiderava bramosamente da tempo, capisce di non poter reggere più il peso della propria empietà: “…ora che ha raggiunto il suo obiettivo, verso il quale si è lanciata ciecamente a briglia sciolta, Maria Stuarda crolla psichicamente. Si è realizzato il suo più intenso desiderio: avere e possedere Bothwell; con occhi ardenti di febbre ha atteso quest’ora delle nozze, nell’illusione che la sua vicinanza, il suo amore mettessero a tacere l’angoscia. Ora però che non ha più nessun obiettivo da contemplare febbricitante, i suoi occhi si destano, si guarda intorno, e non vede altro che il vuoto, il nulla…”.
Questa unione sacrilega, sommata al ritrovamento della compromettente corrispondenza tra i due amanti (le tanto discusse e studiate “Lettere dello scrigno”), dà alla nobiltà scozzese l’attesa scusa per ribellarsi all’invisa regina cattolica con il beneplacito del popolo che intanto ha iniziato a riversarsi nelle strade del Paese al grido di “burn the whore” (al rogo la puttana). Dopo il celebre scontro armato a Carberry Hill fra le due fazioni (15 giugno 1567) alla coppia regicida resta solo la resa: Bothwell riesce a fuggire via mare ma, arrestato dalla flotta danese, muore completamente pazzo in terra straniera dopo lunghi anni di prigionia; la consorte viene invece rinchiusa in un castello inespugnabile, situato su un’isoletta in mezzo al lago di Loch Leven, in cui abortisce due gemelli. Nonostante i tentativi indegni del fratellastro Moray e dei lord protestanti di forzarla ad abdicare, umiliandola dinanzi al mondo intero con la pubblicazione dei suoi scandalosi sonetti d’amore indirizzati all’assassino di suo marito, Maria Stuarda il 2 maggio del 1568, dopo più di un anno di prigionia, riesce ad evadere e a radunare nuovamente un piccolo esercito con il quale cerca di compiere un ultimo vano tentativo disperato di rinconquista prima di rifugiarsi in Inghilterra illusa dalle false promesse d’aiuto della cugina/rivale Elisabetta. Quest’ultima infatti mette in atto una delle vendette più lunghe e subdole della storia di tutti i tempi, trattiene la supplice, già piegata da scelte nefaste e irreversibili, per ben vent’anni con astuzie e menzogne che si sono protratte con compiaciuta cattiveria fino al giorno del funesto epilogo :”L’aspetto più crudele di questa prigionia senza fine è che paradossalmente non fu mai esteriormente crudele. Contro la violenza grossolana un carattere orgoglioso può ribellarsi, di fronte all’umiliazione erompe lo sdegno e nella ribellione un’anima cresce. Solo di fronte al vuoto si piega impotente e opaca…[…] In tutti questi anni non si dimenticherà mai per un momento che Maria Stuarda è una regina, le si concedono tutte le comodità senza valore, tutte le piccole libertà, eccetto l’unica, la più sacra, la più importante nella vita: la libertà. […] Da questa sorte oscura e mediocre l’ha riscattata dinanzi al mondo l’ingiustizia di Elisabetta. Solo lei ha ridato grandezza al destino della sua rivale e, cercando di umiliarla, l’ha in realtà innalzata, ponendole sul capo l’aureola del martirio. Nessuna delle sue azioni ha trasformato Maria Stuarda in un personaggio leggendario come l’ingiustizia inutilmente subita, e nulla ha più diminuito la grandezza morale di Elisabetta che l’aver perso l’occasione di essere magnanime in un così grande momento.”
Maria Stuarda non si piegherà mai alle richieste della nemica, preferisce restare una regina prigioniera piuttosto che una regina senza corona, ma nonostante i numerosi tentativi organizzati per la sua liberazione, alla fine viene vilmente incastrata e condannata a morte (dopo un processo farsa) con l’accusa di alto tradimento.
(Maria Stuarda)
Ogni qual volta questa donna apparentemente fragile giunge in prossimità del baratro “ritrova tutto il suo coraggio grandiosa e la sua fermezza indomabile, diventa eroica di fronte alla mancanza di vie d’uscita”, e proprio ora che ha capito di aver perso la partita come sovrana le è rimasto solo un potere sulla terra: mettere Elisabetta, la sua nemica, dalla parte del torto. Non potendole più recare danno da viva, decide di mortificarla con una morte gloriosa a cui si immola come una martire cristiana entrando nella leggenda:”’En ma fin est mon commencement’, ‘nella mia fine è il mio principio’, era la frase, allora non del tutto comprensibile, che Maria Stuarda anni prima aveva ricamato su un broccato. Ora il suo presentimento si avvera. Solo la sua tragica morte segna il vero inizio della sua fama, cancella dinanzi agli occhi dei posteri le sue colpe di gioventù e trasfigura i suoi errori.”
L’8 febbraio 1587 Maria Stuarda veniva decapitata all’età di 44 anni. Il suo corpo imbalsamato fu sepolto nella Cattedrale di Peterborough e riesumato anni dopo dal figlio (che nel frattempo aveva ereditato anche la corona inglese, dopo la dipartita di Elisabetta, morta nubile e senza figli) per essere trasferito nell’Abbazia di Westminster, dove riposa a tutt’oggi in una cappella di fronte alla tomba della storica nemica.
(Tomba di Maria Stuarda, Abbazia di Westminster, Londra)