Di recente la redazione ha avuto modo di intervistare Elisabetta Zamparutti, già eletta nel Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura, nonché fondatrice della nota associazione per i diritti dei carcerati “Nessuno tocchi Caino”.
Di seguito l’intervento completo.

 

Redazione: Come nasce Nessuno tocchi Caino e quali sono le sue finalità?

Zamparutti: Nessuno tocchi Caino nasce da una idea di Marco Pannella di affidare a Sergio D’Elia la battaglia per il superamento della pena di morte, l’omicidio di Stato, nel mondo. L’avvio di questa campagna avviene con un appello volto a salvare la vita dei golpisti contro M Gorbaciov nel 1991. Sarà poi la scrittrice Maria Teresa di Lascia, moglie di Sergio D’Elia e vincitrice postuma del Premio Strega, a trovare, con anche Erri de Luca e Mons. G. Ravasi, nella traduzione del passo biblico Nessuno tocchi Caino il nome della associazione. Un nome che è un programma: innalzare la soglia della intangibilità della dignità umana nei confronti dello Stato. La fondazione poi avviene qualche anno dopo nel 1993 con un congresso al Parlamento europeo.

R: Come è strutturata la vostra associazione? Come si può’ aderirvi e come è rappresentata sul nostro territorio nazionale?

Z: L’associazione prevede l’adesione diretta individuale con l’iscrizione annuale la cui quota è di 100 euro e le cui modalità si possono trovare sul sito www.nessunotocchicaino.it. Siamo a quasi 3000 iscritti ciascuno dei quali può partecipare al congresso e votare direttamente. Nella concezione liberale della nostra organizzazione non sono previste sezioni o votazioni per delegati. Ogni iscritto può votare in congresso ed essere punto di riferimento sul territorio.

R: Perché secondo lei il nostro paese vive una perenne emergenza carceraria, dove sono le cause di questo fenomeno ?

Z: L’emergenza carceraria nasce dalla mancanza di politiche volte a risolvere i problemi sociali di cui sono espressione i detenuti: proibizionismo sulle droghe, povertà, malattia mentale.

R: Se le dico che il più del 40% degli italiani è favorevole alla pena di morte, lei cosa ne pensa e cosa gli risponderebbe…

Z: Che gli italiani sono delle gran brave persone perché dopo decenni di bombardamento quotidiano da parte dell’informazione di notizie e contenuti allarmistici e giustizialista mi aspetterei un 98% di favorevoli alla pena di morte.  

R: Secondo lei il carcere prepara il detenuto al reinserimento nel tessuto sociale?

Z: Assolutamente no. Perché come dice il nome stesso “istituto penitenziario” il carcere è un luogo di pena e sofferenza ed è impensabile che si possa educare infliggendo dolore. La stessa educazione dei nostri figli avviene con metodi che non sono più quelli delle botte e delle punizioni quanto invece quelli del dialogo volto a infondere consapevolezza e dunque elevazione della coscienza.

R: Sul sito la questione della pena di morte è legata strettamente ad autoritarismi, ma fu un sovrano illuminato il primo ad abolirla (Pietro Leopoldo di Asburgo – Granducato di Toscana) ed oggi gli USA, la “terra della libertà”, ancora praticano la pena di morte (per non parlare dei giacobini nel tardo ‘700). E se non fosse tanto una questione istituzionale quanto di retorica pubblica o maturità di senso civile? Dopotutto i paesi democratici sono spesso i più avanzati in questo senso. Oltretutto un paese che riteniamo civilissimo e democratico come il Giappone non esclude questo strumento…

Z: La pena di morte è per circa il 90% praticata in Paesi totalitari o illiberale. Qui la battaglia contro la pena di morte più che la pena capitale in sé riguarda l’affermazione dello Stato di Diritto e di diritti umani. Laddove uno stato di diritto invece esiste serve un grande dibattito pubblico perché come accade negli USA l’opinione pubblica conta di più. Tant’è che nel corso del tempo in America a partire dai casi di condannati a morte poi risultati innocenti di pena di morte si è discusso e l’opinione pubblica ha mutato posizione andando verso la dismissione di questo ferro vecchio della storia.

 

R: È davvero più umano un regime di ergastolo duro che non la pena di morte? (Io non sono convinto che preferirei passare 50 anni in carcere piuttosto che morire)

Z: Dopo aver lottato contro la pena di morte e la pena fino alla morte lottiamo contro la morte per pena. Ci siamo resi infatti conto che il carcere in sé ubbidisce a una logica patibolare. Non è un caso che chiamiamo il carcere istituto penale. Si va lì a penare a soffrire. Come diceva Aldo Moro dobbiamo cercare più che un diritto penale migliore qualche cosa di meglio del diritto penale.

R: Pena di morte o 41 bis non sono forse la faccia della medesima medaglia? esiste una terza via alternativa? Quali le prospettive per il futuro dell’associazione?

Z: Si sono espressione di una volontà di annientamento dell’essere umano. L’alternativa è lo Stato di Diritto. Come diceva Leonardo Sciascia la mafia non la si combatte con la terribilità della pena, ma con lo stato di diritto.
Chiudiamo allora questo nostro primo incontro con la prospettiva di superare il carcere parlandone al nostro prossimo Congresso, riconoscendo il diritto alla speranza come ha chiesto la Corte europea per i Diritti Umani; perché l’uomo nel corso della pena cambia e può divenire un uomo diverso da quello del delitto. Una pena vendicativa è una pena senza speranza per chi ha commesso il reato ma anche per chi l’ha subito. Il modo in cui trattiamo Caino si riflette su Abele. Caino e Abele sono legati, sono fratelli.

 

Davide Cuneo e Paolo Pazzi