Discriminazione a Bari, in una palestra del quartiere Poggiofranco.
Ne parla il quotidiano “L’Edicola del Sud”, nell’edizione odierna.
La protagonista di questa brutta storia, raccontata da lei stessa, è Flavia, 27 anni: sui documenti è ancora Flavio, ma già a 18 anni, quando ancora viveva in Brasile, ha fatto il primo intervento per il cambio di sesso. Ora ne ha quasi 27, di interventi ne ha fatti altri cinque e nei prossimi giorni andrà a Lisbona per un altro trattamento.
A Bari solo per alcuni periodi, nei mesi scorsi avrebbe subito una discriminazione di genere.
I fatti sarebbero avvenuti in più episodi, in un crescendo che Flavia, alla fine, ha ritenuto insopportabile. Prima a gennaio, poi a marzo, ad aprile e l’epilogo la scorsa settimana.
“Era un gruppetto di donne, tutte clienti, più una dipendente del centro”, racconta Flavia. “Mi guardavano mentre mi allenavo, ridacchiando, dandosi di gomito, e mi passavano accanto dicendo “che schifo”.
Giovedì scorso, quando Flavia era a metà del suo allenamento, le battute di scherno sarebbero diventate intollerabili, al punto tale che ha preferito interrompere e rivolgersi al proprietario, invitandolo a intervenire perché quelle donne smettessero di prenderla in giro. Ma il proprietario della palestra ha risposto male. Racconta Flavia: “Mi ha detto: “Qui siamo tutti amici, hai i vermi in testa, mi sto innervosendo” e mi si è avvicinato minaccioso. Poi ha continuato: “Questa è casa mia, i muri sono miei, se non ti sta bene, vattene! Ti facciamo un favore a tenerti qui”.
Flavia racconta ed è un fiume in piena: “Quanto razzismo, quanta discriminazione! Appena è successo, volevo dirlo a qualcuno, volevo giustizia, sono andata anche in Questura. Voglio essere considerata come una persona qualunque e quando mi tolgono un mio diritto, mi rendo conto che questa è discriminazione di genere”.
Assistita dall’avvocato Nicolò Nono Dachille, Flavia ha presentato una richiesta di risarcimento per “danni materiali provocati dal mancato allenamento e per danni morali per le gratuite vessazioni subite di tipo diffamatorio che rendono solidalmente responsabile anche la struttura ospitante”.
“Vivo a Berlino”, continua Flavia. “Lì mi sento molto più a mio agio, sono molto cosciente dei problemi sociali, anche perché mi ci confronto ogni giorno e sono molto grata all’Unione europea per avermi accolto. Ma non posso fare finta di niente di fronte ad un diritto che mi è stato negato”.