Se una donna ha avuto numerose relazioni è una prostituta, un uomo invece è un Casanova, un grande conquistatore…
Per analizzare la drammatica realtà del femminicidio la psicologa torinese Ludovica Fiorino, responsabile piemontese dell’Osservatorio Violenza e Suicidio, parte analizzando alcuni aspetti del linguaggio ancora fortemente presenti nella nostra realtà quotidiana.

“Sottolineare alcune caratteristiche della persona attribuendo alle donne parti maschili, ad esempio una donna risoluta “una donna con gli attributi”, come se fossero super poteri, o viceversa sminuire un uomo chiamandolo “femminuccia”, contribuisce ad alimentare un certo tipo di cultura”. Secondo il pensiero della psicologa non si tratta solo di battute o frasi che possono anche far sorridere, ma conseguenze di un retroterra culturale che può costituire un terreno fertile che tende a giustificare o ridimensionare il fenomeno che vede una donna ammazzata ogni tre giorni.

Il femminicidio, ma non tutti accettano questa definizione, riguarda donne uccise in quanto donne. Insomma una realtà in cui la componente di genere rappresenta la chiave di distinzione tra un omicidio e un femminicidio.

I numeri del fenomeno restano inquietanti e non accennano a calare.
I dati Istat ci dicono che le donne vittime di omicidio volontario nel 2019 sono state 111, nel 2020 116. Secondo i numeri del Viminale in un anno, tra il 1° agosto 2021 e il 31 luglio 2022, in Italia sono state uccise 125 donne, in aumento rispetto alle 108 dei 12 mesi precedenti. La cronaca purtroppo ci dice che dal 31 luglio al 1° settembre ci sono state altre 4 vittime.

Ludovica Fiorino
Ludovica Fiorino

Ma come viene definito il femminicidio?  Viene considerata “violenza contro le donne ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata” (Lo afferma l’art. 1 della dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne).

Questo genere di omicidio è compiuto solitamente per mano di un parente o, più frequentemente, di un partner o di un uomo cui le vittime erano state legate in una relazione.
I dati del sondaggio, che l’Osservatorio Violenza e Suicidio ha svolto nella primavera del 2020, sono in linea con i dati Istat, secondo i quali i tassi di denuncia riguardano solo il 12% delle violenze da partner e il 6% di quelle da non partner.

Il sondaggio ha rilevato come, circa il 67% dei 1500, intervistati in tutta Italia, alla domanda “ritiene di essere sufficientemente informato/a sulla normativa che tutela le vittime di violenza in tutte le sue forme?” ha risposto affermativamente, mentre il 60% ha ammesso che “in caso di denuncia non si sentirebbe sufficientemente tutelato dalla legge e dalle istituzioni”.

Nonostante la Legge 19 luglio 2019, n.69, entrata in vigore il 9 Agosto 2019, conosciuta come Codice Rosso, abbia apportato modifiche al codice di rito volte a velocizzare sia il processo penale e sia l’adozione di provvedimenti per la protezione delle vittime, i dati ci dicono che le violenze di genere non sono in calo.

Sono troppo poche le donne, vittime di violenza, che denunciano e spesso devono fronteggiare una macchina burocratica legislativa ancora troppo lenta.
“Le leggi sono importantissime e la tutela delle donne necessaria,- precisa la Fiorino”,   ma affinché si possa davvero combattere questi fenomeni bisogna investire sulla prevenzione, lavorando sull’urgenza si rischia di non arrivare in tempo”.

femminicidio

La cultura della non violenza, secondo la psicologa, deve essere alla base di un’educazione che deve avvenire da subito, incentrata sulla diversità intesa come arricchimento non come “chi è diverso da me è meno di me”.   “È importante – afferma Fiorino – che le caratteristiche individuali che differenziano ciascuno di noi non diano adito a pensare che l’uomo sia migliore della donna. Non mi riferisco in questo caso alla questione dell’uso del genere neutro, che per quanto riguarda la lingua italiana non esiste, e neppure al discorso più ampio del bisogno di identificazione, ma ad un puro e semplice uso di espressioni linguistiche che sono talmente comuni che spesso non vengono neppure ritenute offensive dalla maggior parte delle persone”.

Nella nostra società una cultura con forti tratti misogeni è ancora purtroppo presente. Basti pensare a espressioni come “Hai il ciclo?”, rivolta ad una donna che risponde magari in maniera un po’ più scontrosa, o “Sei nervosa? Hai il ciclo?” o ancora se si commuove facilmente “Come sei sensibile, hai il ciclo?”. Soprattutto nelle giovani donne questo può portare a pensare che avere il ciclo mestruale sia una cosa da nascondere, addirittura di cui vergognarsi.

Il consiglio della psicologa sottolinea come sia importante “che soprattutto i ragazzi, i giovani uomini possano attuare un processo di presa di distanza dall’uomo violento, non identificandosi con chi compie violenza. Per fare questo è necessario offrire alle nuove generazioni esempi di relazioni paritarie, basate sull’equità, sul rispetto, sviluppando la capacità di empatia che significa rispettare ciò che l’altro prova, come reagisce ad una certa situazione anche se io reagirei diversamente”.

di Moreno D’Angelo