La Corte di Giustizia europea si è pronunciata a favore di subordinare l’erogazione di denaro contante dall’Unione europea al rispetto dello stato di diritto da parte di un Paese-membro.
L’Alta Corte ha così respinto il ricorso di Polonia e Ungheria, secondo cui lo strumento di valutazione della Stato di diritto superava le competenze dell’Ue.
Punito, in particolare il governo ungherese di destra del premier Viktor Orbán, nel mirino per la sua recente e contestata legge sulla famiglia e contro la comunità LGBTI, una legge “mascherata” da protezione per i bambini e i minori.
Sotto osservazione anche la Polonia, per alcune legge promulgate negli ultimi due anni: contro l’autonomia dei giudici e contro l’aborto (una legge sempre più restrittiva) e per un atteggiamento di censura sempre più evidente da parte del governo di destra del premier Mateusz Morawiecki nei confronti della stampa non filo-governativa.
Si tratta della prima volta in cui viene utilizzato il cosiddetto “meccanismo dello Stato di diritto” o “della condizionalità” e farà sicuramente giurisprudenza: i fondi europei (compresi quelli del Recovery Fund) potrebbero essere congelati se uno Stato membro non rispetta i valori fondamentali comunitari. Questi includono democrazia, uguaglianza, rispetto dei diritti umani, discriminazione e giustizia.
Nel giro di poche settimane, i fondi destinati a Budapest e Varsavia saranno effettivamente bloccati.
“Il rispetto di questi valori non può essere ridotto a un obbligo che uno Stato candidato deve soddisfare per poter aderire all’Unione europea e che potrebbe disattendere dopo l’adesione”, hanno affermato i giudici della Corte di Giustizia europea.
Per la ministra della Giustizia ungherese, Judit Varga. si tratta di una “decisione politica”.