Cari lettori, oggi voglio raccontarvi la storia di una delle donne italiane più affascinanti e chiacchierate del XIX secolo, icona internazionale di moda e bellezza, ma anche protagonista indiscussa delle dinamiche politiche e culturali che caratterizzarono tutto il Risorgimento italiano fino all’Unità del Paese: Virginia Oldoini coniugata Verasis Asinari, nota al grande pubblico come “La Contessa di Castiglione”. Seduttrice seriale, scandalosa femme fatale, intrigante spia politica, chi è stata veramente questa donna misteriosa su cui storiografi e romanzieri, ma anche artisti e registi, hanno scritto e rappresentato infinite versioni disparate e controverse? In questa imparziale e minuziosa biografia della professoressa Benedetta Craveri, è la stessa protagonista a parlarci di sé attraverso un’ingente mole di lettere autografe totalmente inedite, provenienti da archivi italiani e francesi che ci restituiscono il quadro autentico di un’anima inquieta e insofferente, ossessionata dal culto della bellezza e dei soldi, fagocitata da un’ambizione inesauribile e da un bisogno indomito di libertà che la porteranno a perdere, uno ad uno, tutti gli affetti della sua vita.

Virginia Oldoini nacque a Firenze il 22 marzo del 1837 dal matrimonio dei nobili consanguinei Filippo Oldoini e Isabella Lamporecchi, circondata da un ambiente cosmopolita e raffinato che non tardò ad accorgersi della sua straordinaria bellezza: “Ancora bambina, i suoi coetanei la chiamavano «la madonna viva» e, ormai quindicenne, la cronaca mondana del bisettimanale fiorentino «L’Arte» non esitava a presentarla come «una delle più portentose bellezze fiorentine del giorno, dotata di una venustà poco terrestre», la cui apparizione a uno spettacolo teatrale aveva catalizzato i binocoli «dei meglio fashionables spettatori»”. Molto probabilmente queste lodi smisurate, unite alla mancanza di un padre perennemente assente e all’insofferenza nei confronti di una madre piuttosto assillante, contribuirono non poco a rafforzare nell’adolescente “Ninì” un carattere superbo e possessivo che la induceva ad avere un attaccamento viscerale nei riguardi di tutto ciò che considerava suo, a partire dalla sua indipendenza. Se ne accorse ben presto il povero Francesco Verasis Asinari, conte di Castiglione, aitante nobiluomo dai modi impeccabili che sposò l’irrequieta fiorentina dopo un corteggiamento serratissimo. Virginia, neanche maggiorenne, non ricambiava minimamente i sentimenti di quel ricco e devoto ventottenne piemontese che solo qualche anno addietro aveva visto morire tragicamente la prima moglie e il loro unico figlio, ma le pressioni della madre, unite a quella prima vera e propria dimostrazione del potere magnetico che era in grado di esercitare sugli uomini, la convinsero ad accettare le nozze dopo lunghe reticenze e inequivocabili presagi nefasti: “Non abbiamo le risposte di Virginia, ma l’ansioso moltiplicarsi delle dichiarazioni d’amore del conte mostra con quanta sorprendente perizia la scontrosa sedicenne sapesse incoraggiare lo spasimante per poi tenerlo sulla corda. «Siete il mio primo amore che durerà in eterno, vivrò solo per rendervi felice…Ma che debbo mai fare per convincervi dell’immensità del mio amore?» si disperava il poveretto, sforzandosi di trovare sempre nuove metafore per ribadire la sua sudditanza amorosa. «Siete per me il mistero profondo della pietra filosofale, tutto ciò che toccate diventa oro ai miei occhi e quest’oro non lo scambierei con tutte le ricchezze del mondo»”. Dopo appena qualche mese il conte era già costretto a prendere atto dell’ingovernabilità della neosposa e a rassegnarsi ai suoi spropositati sbalzi d’umore. Né le sue recriminazioni, né le sue minacce e tantomeno le sue lacrime sembravano scalfire minimamente il cuore di quell’imperscrutabile anima in pena alla quale tutto sembrava indifferente e intollerante, a partire dall’idea stessa di amore su cui qualche anno più tardi avrebbe scritto: “Io non credo nell’amore, è una malattia che passa com’è venuta, a poco a poco, o una febbre intermittente simile a quelle che mi affliggono di tanto in tanto; non bisogna contare su qualcos’altro, non volere niente di più, non sperare oltre. Ripeto quello che ho sempre detto, benché abbia cessato di rammentarvelo; prendetemi oggi, non contate di avermi domani. Io sono una figlia di Dio che finirà in braccio al Diavolo…”.

A Torino Virginia sperava di raggiungere la libertà tanto sognata, ma si ritrovò in una vita già pianificata nei minimi dettagli, fatta di obblighi e rituali a cui non era in alcun modo preparata e predisposta. Più Francesco cercava di educarla e sottometterla con paternalismi e sfuriate, più rafforzava in lei quell’indifferenza anaffettiva che gli contrappose fino alla fine del loro triste matrimonio costellato di fughe e amanti a non finire. Neanche la nascita del primo (e unico) figlio Giorgio, avvenuta il 29 marzo 1855, riuscì minimamente a placare la sete di avventure dell’indomita leonessa toscana, troppo immatura ed egocentrica per elaborare un vero e proprio sentimento materno nei confronti di quel “Picchinicchi” tanto sensibile che sarà costretto ad elemosinare attenzioni dalla sua “Mina” per tutto il resto della propria breve vita. Nonostante il grande affetto di un padre presente e amorevole che lo crescerà insieme alla suocera, il piccolo Giorgio sviluppò una sorta di attaccamento morboso verso la genitrice assente e narcisista che non si faceva scrupoli ad utilizzarlo continuamente come strumento ricattatorio nei confronti del succube marito e a considerarlo uno schiavetto di sua proprietà esclusiva, alla stregua di tutti gli uomini che si avvicendavano nel suo letto, tanto che a soli 8 anni il gracile “Baby” già cercava di accattivarsi disperatamente la benevolenza della madre lontana facendole la corte alla stregua di quella risma infinita di amanti che aveva visto susseguirsi da quando era nato:” «Mia carissima Mina, mi dispiace tanto che Mina non è ancora tornata e ho tanto desiderio di vedere Mina…Mando a Mina questa poesia con tanti baci: Se anche da Mina sono separato, / con Mina cara sempre sta il mio cuore. / Riconoscenza e amore per Mina sempre avrò / Dovunque Mina sarà e abiterà»”.

Virginia Verasis con il figlio Giorgio

Il momento storico era infuocato, il Risorgimento italiano arrancava dopo la terribile sconfitta contro l’Impero Asburgico nella prima guerra d’Indipendenza e il neosovrano sabaudo Vittorio Emanuele II insieme al primo ministro Cavour capirono che era impossibile liberare il Lombardo-Veneto dall’occupazione austriaca senza l’aiuto della Francia. Per non lasciare nulla di intentato, avendo entrambi conosciuto intimamente la nostra protagonista e le sue doti irresistibili, offrirono all’amica “Ritrosetta” una missione diplomatica all’altezza delle sue superbe ambizioni, inviandola a Parigi alla conquista della corte più potente d’Europa, con il compito di sedurre l’imperatore Napoleone III e assicurarsi la sua adesione alla causa italiana. In breve tempo la colta e astuta “regina di cuori” aveva già portato a compimento il suo dovere, era ufficialmente la rivelazione indiscussa delle Tuileries, l’attrice protagonista di quel palcoscenico d’eccezione che in mezzo a ori, luci e specchi, le aveva finalmente concesso di splendere nell’attesa rivincita tanto agognata: “In meno di un mese Virginia era dunque riuscita a catturare l’attenzione di Napoleone III e a conquistare la corte imperiale e i salotti di Parigi: « Decisamente» constatava Henri de Pène sul ‘Nord’, «la regina della stagione è questa bellezza incomparabile venuta dall’Italia, la contessa di Castiglione. ‘L’Italiana in Parigi’, ecco il titolo di una sinfonia che l’ammirazione intona dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina. Si fa a gara nel decantarne il profilo, la capigliatura, gli occhi, e a definitiva consacrazione della sua regalità, si è conquistata perfino delle nemiche»”.

Virginia riuscì a trasformare ogni sua apparizione nell’evento più chiacchierato da tutti i giornali francesi, sfoggiava ogni volta nuovi trucchi e acconciature, ma anche abiti elaboratissimi che dettavano mode suscitando al contempo scandali e antipatie feroci, a partire da quella della stessa imperatrice Eugenia che, fra tutte le amanti del consorte, fece particolarmente fatica a tollerare la presenza di quella “sfrontata italiana con il gusto della provocazione”, aggravata dalla sua notoria missione di agente segreto per un Paese che “brulicava di terroristi e spie”. Con il passare del tempo la conturbante signora Verasis collezionò una schiera ragguardevole di spasimanti (fra cui il potente banchiere James de Rothschild e suo figlio Gustave!), fatto che, unito alla sua totale indiscrezione sui dettagli intimi delle liason, iniziò a diventare una seria fonte d’imbarazzo per lo stesso Napoleone III, culminata nel celebre attentato dell’avenue Montaigne (dove abitava Virginia) ordito dagli stessi servizi segreti francesi con il beneplacito di Eugenia, episodio che convinse definitivamente l’imperatore ad allontanare a malincuore l’impudente fiorentina dal suo letto e dalla stessa Parigi. Non sappiamo se e quanto il ruolo della nostra nobildonna abbia influito sull’iniziale titubanza di Napoleone III, fatto sta che dopo neanche un anno, il 21 luglio 1858, il monarca d’oltralpe incontrò in gran segreto il primo ministro italiano Cavour nella celebre cittadina termale di Plombières, assicurando il tanto sperato appoggio della Francia al Regno sabaudo nell’imminente seconda guerra d’indipendenza contro gli austriaci.

Camillo Benso conte di Cavour e Napoleone III di Francia

La vittoria italiana faceva intravedere l’alba dell’unità nazionale, ma coincise anche con l’inizio del viale del tramonto verso cui iniziava ad avviarsi il mito di colei che Robert de Montesquiou aveva consacrato come “la divine comtesse”: a soli 21 anni, dopo aver incantato un intero Continente con la sua proverbiale bellezza, l’ambiziosa Virginia aveva già vissuto, senza saperlo, gli anni più splendenti di una restante vita mediocre trascorsa in solitudine, all’ombra dei compianti ricordi del tempo che fu. Il rimpatrio forzato nell’odiata Torino, il bisogno spasmodico di soldi e i fallimentari tentativi di tornare ad essere la favorita ufficiale di Napoleone III prima e di Vittorio Emanuele II poi, acuirono sempre più le psicosi e le crisi nervose dell’altera Verasis, sopraffatta da malesseri psicosomatici, depressione e manie di persecuzione nei confronti di tutto e tutti, a partire dagli stessi familiari, dai quali ormai aveva preso definitivamente le distanze dopo la separazione ufficiale dal marito che, invece, continuò ad amarla fino alla fine dei suoi giorni nonostante la rovina economica a cui l’aveva irrimediabilmente condotto con i suoi capricci di eterna bambina: “La perdonava per il male che gli aveva fatto e per la miserabile esistenza a cui il suo comportamento irresponsabile lo aveva condannato, ma non le risparmiava un ultimo profetico ammonimento: «Verrà il giorno che la vostra fatale bellezza sarà svanita, gli adulatori diverranno più rari e voi ragionerete meglio, allora forse capirete in quale modo indegno avete tradito il giuramento che pronunziaste davanti a Dio, e trascurato per quattro anni i vostri doveri coniugali, facendo di me il più infelice degli uomini»”. Francesco Verasis conte di Castiglione perì giovanissimo il 31 maggio 1867, all’età di 41 anni, per un malore improvviso che ne provocò la caduta da cavallo, e a lui seguirono una ad una tutte le persone che amarono realmente “Ninì” per quello che era, sebbene consapevoli di non essere mai stati realmente ricambiati da quella creatura insofferente, il cui bisogno spasmodico di autonomia era un’esigenza incoercibile, un istinto congenito che le facevano dichiarare di voler essere “libera come un gatto”.

Francesco Verasis Asinari conte di Castiglione

Dopo il coniuge, da cui Virginia non aveva mai divorziato legalmente, il 9 marzo 1872 fu la volta della marchesa Oldoini, da sempre tanto detestata perché colpevole di conoscere troppo bene quella figlia scontrosa ed enigmatica che “aveva fatto del segreto la sua parola d’ordine”. Isabella incarnava esattamente tutto ciò che la figlia cercò di rifuggire per un’intera esistenza; si era lasciata intrappolare da una vita di doveri, compromessi e rinunce, ma a differenza di Virginia non si arrese né fuggì mai di fronte ai continui problemi di una famiglia disastrata: un fratello finito in miseria per ludopatia, un marito nevrotico ed egoista sempre assente e un nipotino tanto sensibile che aveva cercato di proteggere con ogni mezzo dalle stravaganze di una figlia irresponsabile.

Infine toccò al povero figlio Giorgio, cresciuto nel terrore cronico di essere dimenticato da quella genitrice egoista e autoritaria che non smise mai di trattarlo come un bambino da educare e comandare a bacchetta. Abbandonato da tutti i parenti dopo la dipartita del padre e della nonna materna, il diciottenne Verasis trovò finalmente nel sostegno del precettore Genulphe Sol il coraggio di ribellarsi alla sua adorata “Mina”, condotta fino in tribunale per una causa patrimoniale nella quale era racchiuso tutto l’insorgente bisogno di indipendenza e rinascita. “Sono emancipato, ho il diritto di parlare, di esprimere la mia volontà, di lavorare…godo degli stessi vantaggi di un maggiorenne, posso disporre delle mie rendite, fare tutto ciò che ritengo opportuno” scrisse esultante al nonno Oldoini (felice della vittoria del nipote sulla despota figlia) appena Virginia si rassegnò a firmare l’atto della sua emancipazione per evitare lo scandalo internazionale, atto con cui il giovane conte poté disporre dell’eredità del compianto genitore defunto (al quale fortunatamente cominciava ad assomigliare ogni giorno di più) per abbandonare definitivamente Parigi e trasferirsi a Torino, lontano dalle grinfie di quella madre castrante e vendicativa, al fine di intraprendere una nuova vita fatta di soli studi e sacrifici che lo portarono meritatamente sino all’assunzione presso il ministero degli Esteri. Quando tutto sembrava suggerire un futuro di insperata felicità, coronata per altro dal matrimonio con la cugina Amalia Asinari di San Marzano e Caraglio, il destino infausto aveva già decretato la tragica sorte di quel ragazzo tanto sfortunato: il 14 novembre 1879, a soli 24 anni, Giorgio Verasis di Castiglione morì falciato in pochi giorni dal vaiolo a Madrid, dove riposa tutt’oggi.

Giorgio Verasis Asinari

Eravate bella come un ideale, intelligente, con tutte le virtù di un carattere di prim’ordine…pronta a sacrificarvi; eccovi in lite con il mondo intero, isolata, reclusa, senza più legami, sempre sofferente, piena di dolori e rimorsi, insomma condannata all’infelicità”, con questa realistica diagnosi il vecchio Oldoini tratteggiava con sofferenza la fine di quella figlia prodigio che, dopo tante (forse troppe) aspettative, aveva condannato lui e la compianta moglie a una vita di dolori e preoccupazioni. Gli ultimi anni di colei che un tempo era stata considerata la donna più bella e desiderata del secolo, furono una vera e propria “discesa ad inferos”, un calvario logorante durato vent’anni, tutti rigorosamente necessari per consentire alla “Divina contessa” una leggendaria uscita di scena all’altezza della sua fama. Era ossessionata dal pensiero della morte, usciva quasi solo di notte esclusivamente in compagnia dei due fedeli cagnolini, vestiva unicamente di nero, colore di cui aveva verniciato e rivestito pure l’intero appartamento, una vera e propria bara asfissiante all’interno della quale tappezzò i muri con le celebri fotografie dei suoi anni ruggenti, velando invece tutti gli specchi per proteggersi dall’intollerante visione della propria inesorabile decadenza a cui faceva comprensibilmente fatica ad arrendersi. La mania di persecuzione, di cui già decenni prima la madre aveva riconosciuto le avvisaglie, era ormai cronica e non aveva tregua dall’ansia di essere spiata, derubata, assassinata e soprattutto di finire in miseria, come difatti rischiò seriamente più volte, inseguita da innumerevoli ipoteche ed espropri che fecero finire all’asta tutti quei terreni e quegli immobili spezzini dove aveva sognato spesso di invecchiare in pace, ripensando alle tante estati spensierate trascorse da bambina nella rassicurante riviera ligure.

Dopo anni di invocazioni e funesti presagi, nelle prime ore del mattino del 29 novembre 1899, calava il sipario sulla vita inimitabile di Virginia Oldoini, colpita da apoplessia cerebrale all’età di 62 anni. A dispetto delle sue volontà testamentarie, fu sepolta nel cimitero parigino di Père-Lachaise, dove risposa a tutt’oggi.

Al di là di antipatie personali dettate da scelte private sicuramente discutibili, questa istrionica nobildonna fiorentina tanto desiderata quanto odiata resta, nel bene o nel male, una delle interpreti più influenti del Risorgimento e dell’Unità del nostro Paese, emblema di sensualità e stile, ma da un certo punto di vista anche prima eroica femminista ante litteram per la forza e la determinazione con cui ha difeso e rivendicato strenuamente la propria indipendenza in un contesto storico in cui la donna era ancora unicamente relegata ai ruoli di moglie e madre da un’ipocrita società patriarcale e maschilista che non poteva tollerare il successo di creature libere e indomabili come l’indimenticata, leggendaria Contessa di Castiglione.

Ogni donna ha il dovere di essere bella, non per sé, ma per gli altri. Per sé invece, deve essere ambiziosa, astuta e agguerrita…Io sono io, e me ne vanto; Io valgo molto più di loro. Riconosco che posso non sembrare buona, dato il mio carattere fiero, franco e libero, che mi fa essere talvolta cruda e dura. Così qualcuno mi detesta; ma ciò non mi importa non ci tengo a piacere a tutti.

 

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