Victoria  Roshchyna, 27 anni, appassionata e tenace giornalista freelance ucraina per media indipendenti, è morta in una prigione russa. Per lei non vi sarà alcun scambio di prigionieri e il papà avrà solo il corpo della sua figliola che amava il giornalismo vero, rischiando la vita per documentare cosa realmente avveniva tra chi subisce la guerra, dopo l’invasione russa in Ucraina. Anche di lei ha parlato Zelensky, nel corso del suo incontro con Papa Francesco.

Di “Vicka” non se ne sapeva più nulla dall’agosto 2023, quando fu catturata nell’Ucraina orientale.                                                                                                                      Solo nel maggio 2024 il padre fu informato del suo arresto, senza alcun dettaglio su dove fosse detenuta e in quali circostanze e con quali motivazioni fosse stata incarcerata. La notizia della sua morte (arrivata con il consueto ritardo) è stata ancora più amara per il fatto che la giovane sarebbe risultata inserita nella lista per un imminente scambio tra prigionieri. Victoria, che secondo un sito ucraino sarebbe morta il 19 settembre, sarebbe stata catturata in territorio russo, mentre tentava di raggiungere Mariupol per intervistare chi fuggiva da questa città, fiore all’occhiello culturale e industriale sul mar d’Azov.

Alla giornalista, scomparsa per la sua tenace e indomabile volontà di documentare quanto accadeva anche nell’Ucraina orientale, era stato riconosciuto il premio Courage in Journalism da parte dell’International Women‘s Media Foundation (IWMF).

Nel 2024, non lontane da noi, vi sono ancora realtà in cui chi si oppone e chi intende documentare e rappresentare le voci libere può rischiare molto.
Quanti sono incarcerati in Bielorussia e in Russia per aver manifestato il proprio dissenso? Paesi in cui i giornalisti liberi  sono poco tollerati e anche per i politici critici non vi è molto spazio.
Realtà in cui la morte per gli oppositori può arrivare improvvisa e misteriosa, come per il politico Aleksej Navalnyi, sopravvissuto all’avvelenamento e poi morto in un carcere in Siberia il 16 febbraio 2024, dopo che testardamente aveva voluto tornare in patria dalla Germania.

Victoria, nella sua ultima missione, voleva documentare e raccogliere testimonianze da chi fuggiva da Mariupol, prima città (oltre 425mila abitanti) ad essere occupata dai russi nella primavera 2022 che, dopo un bombardamento (che non certo ha interessato solo obiettivi militari..), è stata assediata e solo la presenza di alcuni giornalisti e fotografi ha potuto documentare come le truppe russe non siano proprio state accolte dal generale ed entusiastico abbraccio di tutta la  popolazione locale, pur essendo presente una forte componente russofona.

Una realtà importante dell’Ucraina sud orientale in cui, sulle rive del Mar d’Azov, coabitavano russi e ucraini. Oltre ad essere un porto e un polo di industrie siderurgiche e metalmeccaniche, erede delle scelte dei piani della vecchia Unione Sovietica, la città era nota, sotto l’aspetto culturale, per la presenza di sedi universitarie, con una forte vivacità artistica (street art), e per ospitare un importante di un prestigioso teatro distrutto dai bombardamenti del febbraio 2022.

La città, oggi, porta ancora i segni di quei bombardamenti, pur essendo stata oggetto di una rapida ricostruzione con i consueti e asettici palazzoni e casermoni di stampo sovietico.

Una bellissima realtà, carica di arte, ridotta a un cumulo di macerie dopo l’occupazione ed ora in parte ricostruita e normalizzata in stile russo, cancellando ogni presenza della cultura ucraina.  Gli eccessi dei nazionalismi, di tutti i nazionalismi, hanno questa componente funesta: non sopportano il pluralismo culturale e artistico, tendendo inevitabilmente a cancellare la storia di un popolo, i suoi simboli, se non congrui al prestigio e ai colori di chi comanda.
Un’opera tragica in cui sono maestri i fondamentalismi religiosi sposati al nazionalismo.

A seguito dell’invasione russa Mariupol fa ora parte della Repubblica popolare del Doneck.

I giornalisti continuano a morire, ma la loro presenza resta fondamentale per documentare, specie dove impera il delirio della guerra, e come espressione di una cosa fondamentale: la libertà d’informazione.