«Io sono Elly, sono una donna, non sono una madre. Ma non per questo sono meno donna». L’aspirazione di Elly Schlein di accreditarsi come l’anti Meloni è stata chiara durante tutta la campagna elettorale e le è valsa, oltre al seggio da parlamentare, anche un grande aumento di popolarità.

Nata nel 1985 a Lugano, da padre americano e madre italiana (entrambi docenti universitari), Schlein nel 2008 era volata negli Stati Uniti per sostenere Barack Obama nel suo storico confronto con il candidato repubblicano John McCain. Nel mezzo tanto attivismo all’università di Bologna e una laurea in Giurisprudenza.

Nel 2013 Schlein fu tra i promotori di OccupyPd, il movimento che si ribellò al tradimento dei famosi 101 parlamentari democratici che, nel segreto dell’urna, fecero naufragare la candidatura di Romano Prodi a presidente della Repubblica. Si tratta di una protesta contro il governo delle larghe intese di Enrico Letta. Una lotta per chiedere al partito di avere più coraggio sui temi generazionali e di sinistra.

Con queste premesse Schlein si avvicina a Pippo Civati che in quegli anni si candida a segretario Pd. La candidatura fallisce. Ma Schlein viene ricompensata alle Europee dell’anno seguente. Candidata in Emilia Romagna, ottiene 50.000 preferenze e viene eletta stupendo anche i colonnelli locali. Lei festeggia a modo suo: «Siamo più di 101. Siamo almeno 54.000. E andiamo in Europa».

Il complicato rapporto col Pd sembra terminare nel 2015. In un’intervista a Repubblica Schlein lascia il partito all’epoca guidato da Matteo Renzi. E nel farlo lancia pesanti accuse: «Le nostre politiche stanno diventando di centrodestra. Sono mesi che il governo fa cose in cui non riesco a riconoscermi. Lotto per i diritti civili e il mio ministro dell’Interno impone la cancellazione delle nozze tra persone dello stesso sesso. Sogno un futuro sostenibile e mi ritrovo le trivelle rimesse in moto dallo Sblocca Italia. Non sopporto più questa perenne contraddizione».

Durante gli anni da eurodeputata si distingue per la sua attenzione al tema dei migranti, denunciando le condizioni dei centri di accoglienza, sull’isola di Lesbo e in Libia. Senza dimenticare le lotte per la giustizia sociale e la transizione ecologica. Nel 2019 decide di non ricandidarsi. «Il mio impegna non si ferma, ma si trasforma», promette. Il come si capisce poco dopo. Schlein chiude un accordo con il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini in vista delle Regionali del 2020. Si tratta di una campagna elettorale dura. La Lega sogna di mettere le mani sulla regione rossa per eccellenza. L’ex eurodeputata ci mette la faccia e si presenta di persona dal leader leghista Matteo Salvini accusando il suo partito di non essere mai venuto alle riunioni sui migranti in Europa.

Alla fine vince la sinistra con un grande exploit per la Schlein che festeggia: «Non abbiamo fatto la sinistra da centro storico. Abbiamo messo insieme una lista di persone credibili, competenti. A parte il mio risultato, in ogni provincia ci sono persone di valore che hanno conquistato migliaia di voti. Girare il territorio premia di più di Facebook».

Ma l’appetito vien mangiando. Nel corso degli ultimi 2 anni Schlein diventa uno dei punti di riferimento di chi sogna una nuova sinistra. Così rieccola candidata alle Politiche del 25 settembre che la vedono eletta. Il suo nome da allora continua a circolare per la segreteria del Pd. A tratti invocato. A tratti temuto. Qualcuno la vede come la speranza per una rinascita del partito a sinistra. Qualcun altro l’accusa di essere troppo ambiziosa e di non sapere gestire una macchina complessa come il Pd. Il suo avversario sarebbe anche il suo presidente in regione Stefano Bonaccini, che, però assicura: «La rispetterò qualsiasi sia la sua scelta».