Dalla notte dei tempi sono fortissimi i legami tra bielorussi e ucraini per fattori geografici (confine comune nel nord Ucraina da Chernihiv, passando per Kiev, fino a Brest), culturali (slavi orientali), religiosi (ortodossia) e di sangue per i numerosi nuclei familiari che condividono padri, madri o nonni di entrambi i paesi.
Si tratta zone passate sotto varie potenze ma, quella tra bielorussi e ucraini, è unione secolare cementata dalla storia. I due paesi hanno condiviso parti di territorio sotto diverse potenze per molti secoli: confederazione polacco – lituana prima, impero russo e URSS poi , con  forti legami storici in tutta la parte occidentale dell’odierna Ucraina (basti pensare alle città di Brest o Leopoli);
Dopo questa precisazione storico geografica, veniamo al presente.
Alexander Lukashenko, presidente bielorusso al potere dal 1994, non ne vuole proprio sapere di entrare in guerra contro l’Ucraina. Questo mentre il Cremlino insiste con le pressioni per un totale e immediato coinvolgimento militare della Bielorussia. Un discorso, legato alle indubbie difficoltà registrate da Mosca in questo conflitto che perdura dal 24 febbraio 2022 ed ai segnali di stanchezza, se non di dissenso (la protesta censurata delle madri dei soldati), ormai evidenti anche nella società russa, portano Mosca a forzare i tempi.

Bielorussia guerra Russia

L’opposizione clandestina ventila la possibilità di un’occupazione russa del paese per eludere ogni limitazione alle sue iniziative belliche su Kiev. La Bielorussia (significa Russia Bianca) fino ad ora ha assicurato un totale appoggio logistico alle operazioni belliche di Mosca, senza però prendere parte in modo diretto con i suoi militari a fianco dei russi.
Il paese copre gran parte del confine ucraino del nord ed è quindi in una posizione strategica importante per le mire di Putin su Kiev.
Ma cosa blocca un leader da trent’anni fedele già alla vecchia CCCP?
Lukashenko teme che una discesa in guerra possa scatenare di nuovo quella imponente protesta popolare che potrebbe rimettere in discussione il potere. Prevedibili manifestazioni per il rifiuto di vedere i propri figli morire combattendo i fratelli ucraini.  Ricordiamo che tra il 2020-21 le strade di Minsk si riempirono per mesi di persone che chiedevano due cose: democrazia e fine del regime amico di Mosca.

Questo in particolare dopo quel 9 agosto 2020, che assegnò, per la sesta volta consecutiva, la vittoria al presidente Lukashenko con l’80,1% dei consensi. Un dato ritenuto da molti frutto di frodi elettorali che scatenarono ulteriormente le proteste.

Tuttavia, dopo anni di dura repressione, che hanno spento ogni opposizione e iniziativa in una Bielorussia “normalizzata”, vi è ora il timore che possa riprendere quella che fu definita “la rivoluzione delle ciabatte”, in un paese che non vedrebbe certo con favore   ingenti spese e sacrifici legati ad un impegno bellico diretto.

Si tratta di proteste che potrebbero rappresentare un chiaro pericolo per il mantenimento del potere da parte di questo leader di 68 anni dal vecchio cuore filosovietico. Un intervento da invasore dell’Ucraina potrebbe inoltre mettere in discussione la credibilità di Lukashenko come leader di un Paese sovrano.

Secondo i think tank specializzati, come l’americano Isw (Institute for the Study of War) sarebbe quindi ”estremamente improbabile che la Bielorussia invada l’Ucraina nel prossimo futuro”. Il rapporto evidenzia come, un eventuale coinvolgimento dell’apparato di sicurezza bielorusso nella guerra in Ucraina, possa rendere Lukashenko vulnerabile a ulteriori disordini interni e indebolirlo per la partecipazione a un costoso conflitto. Questo in un paese con gravi difficoltà economico finanziarie (con un reddito pro capite inferiore ai 7000 euro), il cui debito è stato ulteriormente declassato dalla Banca Mondiale e che di fatto non ha più alcun accesso ai crediti dall’occidente dal 2020. Sono risultati quindi provvidenziali per le finanze di Minsk i generosi aiuti e il riscadenzamento del debito accordato recentemente da Mosca. Aiuti certo non disinteressati visto il ruolo strategico di Minsk nella guerra, mentre persistono le sanzioni occidentali anche su questo paese.

Sul piano meramente militare l’apertura di un fronte nord potrebbe contribuire temporaneamente ad allontanare le forze di terra ucraine da altre parti del teatro, data la limitata potenza di combattimento a disposizione di Minsk.

In fondo l’attuale Bielorussia è il prototipo che Mosca auspica per Kiev.  Un governo fantoccio amico, nessuna protesta con un’opposizione silente, incarcerata o rifugiata all’estero.

Qualche malpensante ha ventilato la possibilità che, di fronte ai tentennamenti bielorussi, il Cremlino abbia posto, allo studio della sua intelligence, nuove possibili drastiche soluzioni per portare ai vertici del governo una guida totalmente asservita ai diktat putiniani, come se quelle in essere non lo fossero già a sufficienza.
Insomma, un piano simile a quello che la Russia auspicò inizialmente, per “sistemare” la questione Ucraina, attraverso l’immediata sostituzione del presidente Volodymyr Zelenskyj, con tanto di lasciapassare per quell’attore e comico che, sorprendentemente, nella primavera del 2019, aveva nettamente sconfitto al ballottaggio con il 73,2% il presidente in carica Petro Porošenko.
“Volevano solo mettere alla guida del paese delle brave persone al posto di Zelenskyj” è la sorprendente ed eloquente frase di Silvio Berlusconi, pronunciata non molto tempo fa, con cui l’anziano leader azzurro sintetizzava quelle che sarebbero state le “buone” e reali iniziali intenzioni di Putin, prima di procedere all’invasione dell’Ucraina.
Un discorso che in qualche modo potrebbe ora forse riguardare, in un contesto decisamente diverso, anche Minsk. In fondo sarebbe sufficiente qualche lieve ritocco ai vertici per dar corso all’opera di maquillage governativo.
Un macabro maquillage che, secondo alcuni osservatori, sarebbe stato già stato avviato con la morte improvvisa del ministro degli esteri Vladimir Makei, 64 anni, stranamente avvenuta prima di un incontro con il potente ministro degli esteri della federazione russa Sergej Viktorovič Lavrov, che avrebbe dovuto precedere la sua partecipazione ad un meeting in Polonia con politici occidentali.
Una morte sospetta e sono in molti ad aver storto la bocca ipotizzando un possibile caso di avvelenamento. Il capo degli esteri bielorusso, che risultava in ottima salute, aveva dimostrato una certa apertura verso l’occidente, non nascondendo inoltre critiche alla Russia di Putin. Posizioni che si erano progressivamente ridimensionate con l’imporsi della normalizzazione o pax moscovita a Minsk.
Per avere un quadro completo del Paese è importante non dimenticare le forti proteste popolari che, nonostante la durissima repressione, hanno avuto luogo in Bielorussia fino al 2020. Grandi manifestazioni per avere più libertà ed elezioni, contro un regime che persiste dal 1994, definito dagli oppositori illiberale e corrotto, accusato anche di brogli elettorali. Un quadro che ha contribuito a cancellare le istanze libertarie della popolazione in un paese in cui l’opposizione non esiste in quanto o è incarcerata o è dovuta scappare all’estero.
Oggi la Bielorussia non è né neutrale, né europea, come vorrebbero molti suoi abitanti, nonostante la normalizzazione o meglio cloroformizzazione, non sembra abbia alcuna intenzione di veder morire i propri ragazzi per “denazificare” un paese fratello come l’Ucraina scontrandosi con i militari di Kiev.
Ora pare che anche il fedele presidente Aljaksandr Lukashenko abbia timori per possibili condimenti al polonio, (e non si tratta di speculazioni e forzature dei media occidentale in stile guerra fredda) e ha fatto notizia il rapido cambio da lui imposto per cuochi e personale della cucina. Qualcuno ha ironicamente affermato che Vladimir Putin stia preparando per lui un magnifico funerale.
Per capire queste paure, sicuramente aumentate dopo l’improvvisa brutta fine del suo ministro degli esteri, c’è da evidenziare una caratteristica che fa di Lukashenko un personaggio quanto mai abile e astuto (“più volpe che leone” direbbe Macchiavelli), sicuramente nazionalista e quanto mai disinvolto nelle relazioni internazionali. Un personaggio rimasto molto legato ai vecchi cliché sovietici, (vedi le scolaresche con il fazzoletto rosso al collo dei pionieri e il persistere di simboli e stili di stampo bolscevico).
Una figura, non a caso, al potere (con il pugno di ferro) da 28 anni.

Sull’avversità presente anche in Bielorussia contro la guerra si si sono registrati atti di sabotaggio sulle linee che portano vettovagliamenti ai militari russi sul fronte. Inoltre, secondo quanto affermato dalla leader dell’opposizione in esilio Sviatlana Tikhanouskaya, sarebbe operativo in Ucraina un battaglione di volontari bielorussi. La Tikhanoskaya ha denunciato il tentativo di Putin e Lukasehnko di creare il panico tra la popolazione parlando di possibili attacchi dell’Ucraina e di voler legalizzare e normalizzare la presenza costante di truppe russe in Bielorussia. “dobbiamo chiamare questa cosa con il suo nome: un’occupazione”.
Il territorio bielorusso è da tempo sede di esercitazioni, addestramenti e passaggio per le truppe di Mosca. Tuttavia, anche se è stata annunciata la costituzione di battaglioni congiunti russo-bielorussi, gli osservatori hanno espresso forti dubbi sull’effettiva volontà o capacità di Minsk ad avere un ruolo più attivo nella guerra in Ucraina. “Né i bielorussi, né l’esercito supportano questa guerra – aggiunge la Tikhanouskaya –  e dubito che i soldati bielorussi parteciperanno a questa chiamata. Non sono motivati in alcun modo e non sono nemmeno ben equipaggiati e sarebbe un grave errore per Minsk seguire le orme del Cremlino ed entrare in guerra. La rappresentante dell’opposizione, fuggita all’estero, ha infine denunciato l’aggravamento delle condizioni di un’oppositrice al regime di Minsk, Maria Kolesnikova, condannata a undici anni. La donna, ora in terapia intensiva non può ricevere alcuna visita. È in carcere per le sue proteste sulla regolarità del voto del 2020, dopo l’arresto ad opera delle forze speciali, create da Lukashenko, che hanno fatto piazza pulita degli oppositori.
Un eloquente dimostrazione del pugno di ferro e su come si mantenga il potere in queste realtà normalizzate, secondo un modello che si sarebbe dovuto, nelle intenzioni di Mosca, tranquillamente applicare anche alla ribelle Ucraina.