Non si vorrà sentenziare, solo offrire riverberi di pensieri assuefatti da regole commerciali, ormai nemmeno più così tanto celate, che univocamente si uniscano al fine di elasticizzare le nostre trame mentali. Quante domande e quante risposte sono necessarie per capire cosa chiediamo a noi stessi?
In fondo è sempre e solo una questione di struttura propria e di connessione con noi stessi: l’anti-convenzionalità non si manifesta “fuori” ed ha spesso più radici nel vitius che nella virtus.
Potessimo chiederlo a Adamo avrebbe qualcosa da raccontarci …di autenticità ne sapeva qualcosa lui!
Purtroppo, quello fu probabilmente l’ultimo vero peccato ORIGINALE commesso.
Il resto? L’eco di una spirale antispirituale.
Non è certo un dramma che il primo uomo non si sia potuto fabbricare una verità non negoziabile e patteggiabile come accade per noi, quelli del “the medium is the message”, anzi.
Il virtuale che sovrasta il reale sovverte la visione del mondo che ci trasmuta in un mega-gruppo globale nel quale qualcuno riesce sempre a farci percepire distintamente tutta la mediocrità che “ci si zavorra” dentro.
È l’omologazione dell’intercambiabile: eccola, è lei, la frase più originale che tu abbia mai scritto!? La scrivi, la rileggi, la posti. È fatta! Poi subito sotto la tua ne appare un’altra che te la polverizza.
Possibile??? Probabile! Molto probabile! Reale.
Negli inferi del tuo subcosciente, ora, hai quindi già deciso di abdicare a favore di una personalità a nolo: tanto vale stereotiparsi piuttosto che indossare la sforzata veste del glossatore di banalità.
Ma il punto è un altro: il premio va a chi il pensiero lo ha avuto per primo o di chi lo ha espresso meglio?
Il paradigma da secoli sostiene che la copia è l’anima del commercio ma siamo davvero disposti ad assuefarci all’unanimità barricando le nostre menti in ordinarie scatole indifferenziate stile calendario dell’avvento?
Dove è finita l’opera d’arte dentro di noi?
Perché la scuola è così forzatamente omologante e volta a testificare le menti?
In classe si esordisce il primo giorno impettiti e con gli occhi desiderosi di confronto con un “io sono così e tu come sei?” per finire con il chiedersi “tu mi vedi come io mi vedo? Vado bene così?”.
Perdiamo così, nel nome di un concetto di uguaglianza manipolato e distorto, la voglia di ESSERE come siamo per ESSERE come dovremmo essere.
Si trascorre una vita a registrare nella nostra mente il “siamo tutti uguali” che rifuggiamo poi disperatamente rincorrendo l’“io voglio distinguermi”.
In questa realtà distopica che livella pensieri e personalità piuttosto che lamentarci mediocremente del globale che ci inghiotte, cerchiamo di non scadere nell’inazione: Icaro non era proprio un pollo.