Già nel secolo scorso, scrittrici, intellettuali e suffragiste hanno tentato in tutti i campi, individualmente ma anche collettivamente, di spiegare ai padri padroni che le donne avevano maturato esperienze sufficienti per entrare a pieno titolo nella vita pubblica, in politica e nelle scienze con vantaggi rilevanti per tutte e tutti. E sono state represse, imprigionate. rinchiuse in manicomi e anche uccise perché chi governava il mondo e le famiglie voleva solo usarle, depredarle, ridurle in totale dipendenza. Letteratura, arte, storia e scienza lo testimoniano.
Diseguaglianze crescenti, violenze e stragi in nome di ideologie naziste e rivoluzioni sanguinose, due terribili guerre mondiali fecero del novecento un secolo di sangue proprio perché non si volle ascoltarle. All’inizio del secolo, Charlotte Perkins Gilman, una economista tradotta in sette lingue ma perseguitata dal marito e dal medico che la volevano pazza scrisse una fondamentale utopia ecofemminista: ”Herland”[1]. Negli anni sessanta un pericoloso veleno come il DDT fu proibito grazie alla denuncia di Rachel Carson nel suo “Primavera silenziosa”.
L’unica rivoluzione non violenta è stata quella femminista che da noi ha permesso, grazie alle nostre costituenti che sono finalmente potute entrare nelle istituzioni per il voto concesso nel dopoguerra alle donne, di scrivere la prima parte della costituzione, quella che contiene i principi e che non è mai stata cambiata, salvo il recente articolo 9 che finalmente il Parlamento ha modificato all’unanimità. Tutela dell’ambiente, biodiversità ed ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni sono state aggiunte, con quella degli animali, a quella del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. Anche per questo cambiamento epocale l’iniziativa di ecologiste è stata determinante.
Gli anni settanta non sono stati solo le lotte per il divorzio, l’aborto, la parità e la liberazione sessuale. Sono stati l’ecofemminismo della D’Eaubonne che ne pose i fondamenti nel libro “Le féminisme ou la mort” 1974[2]. Dopo Chernobyl le ecofemministe antinucleariste e per il disarmo, che Petra Kelly aveva indirizzato alla nonviolenza da quando aveva fondato i green in Germania, si organizzarono anche in Italia, si incontrarono perché “il pianeta ci è dato in prestito dai nostri figli”, manifestarono, raccolsero le firme per un referendum con le associazioni, entrarono in Parlamento in bicicletta e in modo paritario e fecero uscire l’Italia dal nucleare civile.
Quel nucleare di cui è piena ancora l’Ucraina, di cui Putin si sta impadronendo e che minaccia di usare se non lo si asseconda, insieme ai missili e ai bombardamenti che stanno distruggendo le città e uccidendo civili in fuga Guerra e un nucleare che minaccia anche noi ben più di allora.
Per questo l’ecofemminismo sembra ormai l’unica prospettiva politica possibile per salvarci e salvare la vita sulla terra, oggi che catastrofi climatiche, pandemie e ora questa terribile guerra nel cuore dell’Europa, hanno fatto delle nostre vite e delle nostre persone le comparse più o meno travolte da un mondo distopico.
Da tre anni stiamo cercando di riprendere un po’ di speranza e tutto invece sembra caderci addosso, non possiamo cercare vecchie certezze, lamentarci senza capire come affrontare concretamente ogni giorno il modo sempre più precario di vivere a cui siamo costretti, e soprattutto di cui sono insieme curatrici e vittime le donne.
Cercare le radici per capire gli sbagli di cui si è stati protagonisti o complici, cambiare il linguaggio per comunicare con empatia in modo da coinvolgere corpi e menti di tante diversità, partire dalla propria esperienza e dalle emozioni che ci travolgono e ci rendono fragili come chi vorremo aiutare quando anche noi abbiamo estremo bisogno di aiuto. Affidarci al silenzio e alla meditazione nella natura, alla bellezza che ci circonda e ai nostri amici e famigliari che abbiamo disimparato ad abbracciare non ci basta più. Tutti scoprono la società della cura a parole ma non la praticano. E si adattano ai meccanismi di potere maschili, alle predazioni dei corpi e degli ecosistemi, ad uno sviluppo che sanno insostenibile da sempre. Aumentano femminicidi e parricidi di pari passo con nuove malattie e estinzioni di specie. Possiamo chiamarlo cambio necessario di paradigma come lo definimmo a fine anni ’80, e come lo abbiamo raccontato noi Forum delle donne verdi[3], impegnate contro il nucleare con i movimenti delle femministe che manifestavano continuamente ed elaboravano con noi i termini della rivoluzione politica, scientifica e culturale necessaria e possibile a fine secolo.
[1] Charlotte Perkins Gilman, Herland – Terra di lei, La Vita Felice, Milano, 2015
[2] F.d’Eaubonne, Femminismo o morte”, Les Cahiers du GRIF, n. 4, 1974
[3] F.Marcomin e L.Cima, l’Ecofemminismo in Italia”, Il Poligrafo, Padova, 2017
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