Nei piani alti di Uefa e Figc, le due massime istituzioni calcistiche in Italia e in Europa che dichiarano di voler lottare contro il razzismo negli stadi, non esistono dirigenti di colore. Chi prende le decisioni più importanti è sempre bianco.

Nel Comitato esecutivo della Uefa non esistono infatti manager neri, mentre nel Consiglio federale della Figc c’è un solo consigliere di colore, anche se non parliamo di un dirigente sportivo ma di un’atleta: si tratta di Sara Gama, capitano della nazionale italiana femminile, eletta nella quota del sindacato dei calciatori.

Ma quanto influisce questa mancanza di rappresentanza delle minoranze etniche negli organi che poi hanno la responsabilità di debellare il razzismo dagli stadi?

Il Comitato esecutivo rappresenta il cuore decisionale della Uefa: è composto dal presidente, da altri 16 membri eletti dal Congresso Uefa – a sua volta formato dai presidenti delle federazioni calcistiche delle 55 nazioni che aderiscono all’associazione – da due membri eletti dai Club Europei e da un membro eletto dalle Leghe Europee.

Nel comitato vengono prese tutte le decisioni più importanti: qui tra tra i dirigenti l’unico a non essere di etnia caucasica è Nasser Al-Khelaifi, qatariota, presidente della Qatar Sports Investments, del Paris Saint-Germain e degli studi cinematografici di Los Angeles Miramax, nonchè membro del consiglio di amministrazione del fondo sovrano del Qatar.

Ma la struttura della Uefa non finisce qui: oltre il comitato, ci sono organi interni e minori come quelli per l’Amministrazione della Giustizia, Il Consiglio Strategico per il Calcio Professionistico e poi le Commissioni e i Panel.

Questi ultimi due rappresentano, come si legge sul sito stesso della Federazione, “la linea politica Uefa per quanto riguarda le diverse declinazioni del calcio europeo”. Dalle questioni mediche ai trasferimenti dei giocatori, fino agli arbitri e alla finanza, sono tanti gli argomenti sul tavolo di questi due organi, che possono sottoporre delle proposte al Comitato Esecutivo.

Qui troviamo dei dirigenti neri: andando a leggere i nomi resi pubblici che figurano tra le Commissioni e i Panel del mandato 2019-2023 se ne contano tre su più di 450 ruoli. Uno di questi fa parte della Commissione per il “Fair Play and Social Responsibility” – il team che si occupa di etica e delle implicazioni sociali del calcio in Europa – composta da 23 membri. Si tratta dell’ex calciatore inglese Paul Elliott.

Nonostante Uefa e Figc siano istituzioni private e non siano obbligate ad avere politiche inclusive è evidente l’impatto che il loro operato ha sulla società. E sebbene uno dei motti della Uefa sia “No to racism”il fenomeno nello sport è un problema ben lungi dall’essere debellato.

È giusto di pochi giorni fa l’ultima uscita controversa di un alto dirigente del football italiano, il presidente del Brescia, Massimo Cellino: “Balotelli è nero, ma sta lavorando per schiarirsi e ha molte difficoltà”.

L’ufficio stampa della Uefa ha dichiarato “Siamo fermamente convinti di avere un forte network di persone in grado di lavorare al problema del razzismo” e ha fatto cenno a un sondaggio condotto nel 2018 che ha dimostrato come su 820 membri dello staff della Uefa, l’86% si dichiara di etnia caucasica, mentre il 14% si identifica in una diversa etnia. L’ufficio stampa ha anche commentato: “Attualmente ci sono 48 nazionalità rappresentate nella Uefa: la nostra organizzazione ha membri del personale che rappresentano tutti i continenti del pianeta, ad eccezione dell’Antartide”.

Tuttavia, Uefa non specifica se questo 14% di persone di etnia non caucasica ricopra ruoli decisionali fondamentali o meno.

Il fatto che ci siano così poche persone nere nei piani alti nella dirigenza del calcio rende quindi la battaglia contro il razzismo negli stadi più debole?

Lo abbiamo chiesto al sociologo Ben Carrington, all’esperto di diritto sportivo Massimo Coccia e al primo calciatore nero ad avere indossato la maglia della nazionale italiana Joseph Dayo Oshadogan.

A detta di Carrington, professore della University of Southern California e autore di quattro libri sul razzismo e sullo sport: “Le risposte pateticamente deboli al razzismo da parte della Uefa possono, in parte, essere attribuite al fatto che ci sono troppi funzionari bianchi che non prendono sul serio il problema”.

Il sociologo commenta: “La Uefa e le altre organizzazioni sportive non riflettono adeguatamente sul fatto che continuano ad essere, come le definì l’ex direttore generale della Bbc, Greg Dyke, ‘orribilmente bianche’. Dato il gran numero di calciatori neri che giocano ai massimi livelli, la Uefa e i club sportivi dovrebbero essere più attenti a garantire una presenza multiculturale, nella sala riunioni così come in campo” continua Carrington, pur precisando: “Avere più persone nere nei piani alti aumenta le possibilità che la lotta contro il razzismo sia effettivamente una lotta invece che una presa di posizione solo simbolica, ma di per sé non garantisce nulla”.

Quel che è certo è che limitare il campo di questa battaglia ai confini dello stadio, secondo Carrington, non basta.

“Il calcio è felice di vedere, celebrare e per certi aspetti utilizzare i corpi dei calciatori neri attraverso le loro prestazioni atletiche, ma sembra non avere alcun desiderio di permettergli di entrare negli spazi del potere” spiega Carrington.

Secondo il sociologo, per ora: “La Uefa si limita a dire ‘non sono razzista’, ma essere antirazzisti è una cosa diversa. Una migliore rappresentanza dei neri e di altre minoranze etniche è un passo importante, ma se non c’è una critica e una comprensione del razzismo istituzionale, parliamo di provvedimenti soltanto di facciata, finiamo per accontentarci di un volto nero in più in mezzo a un’istituzione sempre bianca”.
La situazione è diversa nella Figc?

Guardando al campo da gioco più ristretto della Figc, la situazione non cambia di molto: tra i dirigenti degli Organi direttivi centrali e il Comitato di presidenza non si contano persone di colore, ma nel Consiglio federale – tra i più importanti organi decisionali della federazione – si conta un consigliere nero: parliamo di Sara Gama, capitano della nazionale italiana femminile, a rappresentaza del sindacato dei calciatori AIC.

Tra le commissioni della Federazione risulta anche una apposita per l’integrazione presieduta dalla ex campionessa Fiona May. Contattato da Euronews, l’ufficio stampa della Figc non ha risposto alle nostre domande.

Massimo Coccia, esperto di diritto sportivo, nel 2006 ha partecipato alla stesura di un articolo del codice di giustizia sportiva della Figc sulla “responsabilità per comportamenti discriminatori”: nonostante da allora secondo l’esperto non si è fatto abbastanza per sconfiggere il razzismo negli stadi, la questione è molto complessa.

“Si potrebbe introdurre l’obbligo di inserire nelle liste dei candidati alle cariche federali una quota per rappresentare le minoranze, come viene fatto spesso per le donne, ma non bisogna dimenticare una cosa: fare il dirigente sportivo in molti casi vuol dire avere tempo e avere un certo benessere economico. I membri del Consiglio federale della Fgic, per esempio, non prendono alcuno stipendio. Anche il presidente ha diritto solo a un’indennità” argomenta Coccia.

“Mio figlio ha giocato a basket e ha avuto molti compagni figli di immigrati, di tutte le etnie. Ma quanti di quei bambini che ora giocano a basket da grandi avranno il tempo e i soldi per diventare dirigenti sportivi? Parliamo di una questione politica che riguarda tutta la società, e non solo lo sport” conclude l’esperto.
Oshadogan, primo calciatore nero nella nazionale: “Sono stato solo il ‘primo normale'”

Per Joseph Dayo Oshadogan, ex calciatore del Foggia, primo giocatore nero ad indossare la maglia della nazionale italiana: “Parlare di razzismo è piu semplice per chi lo ha sperimentato sulla propria pelle. Sono esperienze crude e forti difficili da immaginare altrimenti ma – commenta l’ex sportivo – se parliamo di istituzioni che lavorano fuori dal campo, credo che il numero delle persone di colore nelle dirigenze sia una questione puramente meritocratica: non metto la questione sullo stesso piano degli episodi di razzismo durante le partite.”

L’ex giocatore si dichiara cautamente ottimista: “Dopo anni posso dire che finalmente siamo passati dal ‘sono solo i soliti pochi’ a ‘anche se sono pochi vanno puniti’” afferma il calciatore, che ancora oggi spiega di non sentirsi un simbolo e racconta: “Prendere la maglia è stata un’esperienza bellissima come per tutti gli altri: il caso mediatico è scoppiato dopo. Io sono capitato nella nazionale, non come simbolo, ma come il ‘primo normale’. Rappresentare l’Italia per me era soltanto il sogno di un bambino”.