Non si ferma in Georgia l’imponente protesta e la durissima repressione contro chi manifesta per quello che viene definito “un voto rubato”. Dopo una settimana di manifestazioni e scontri si contano trecento arresti che coinvolgono anche leader dell’opposizione e giornalisti. Scioperi e marce si sono svolte anche in istituti scolastici e università.
E’ la reazione a un voto che ha interrotto, scatenando la rabbia popolare, il sogno di vedere il paese caucasico, prossimo al suo ingresso nella comunità europea, tanto più dopo che l’istanza di Tbilisi aveva ricevuto, a fine 2023, il benestare del Consiglio Europeo.
Il ricorso presentato dal presidente della repubblica Salomé Zourabichvili, con tutta l’opposizione unita, che denuncia reiterati brogli elettorali guidati dall’estero, è stato respinto. Brogli che, secondo gli oppositori, hanno favorito il successo del partito filorusso “Sogno georgiano”, guidato dal ricco oligarca Bidzina Ivanishvili che, formalmente, ha spostato l’adesione europea al 2028, ma, per chi protesta, ha di fatto chiuso un percorso che sembrava ormai prossimo all’arrivo intendendo richiedere nuove consultazioni, al momento alquanto improbabili.
Le immagini mostrano squadre speciali all’opera con casco o incappucciate che, oltre ai cannoni ad acqua e lacrimogeni, non esitano a picchiare e arrestare chiunque prenda parte alle oceaniche manifestazioni che si svolgono nel centro della capitale della Georgia e in altre città, contro la decisione del partito filo russo di fermare le trattative per l’adesione all’Europa, dopo aver vinto le contestatissime elezioni, nel paese caucasico di San Giorgio (Santo patrono), noto in Italia anche per il calciatore del Napoli, Khwicha Kvaratskhelia.
Il primo ministro Irakli Kobakhidze ha ribadito la mano pesante contro chi si oppone, coinvolgendo nella repressione anche le organizzazioni non governative.
Le forti proteste, che coinvolgerebbero – secondo alcune stime di parte – la stragrande maggioranza della popolazione, stanno preoccupando le capitali europee e non solo.
In ogni caso le proteste perduranti e oceaniche rendono palese una volontà popolare e una determinazione che non si può ignorare. Non a caso “Ora o mai più” è lo slogan di una resistenza che non si placa per una lotta che vede in gioco la libertà e l’indipendenza di un paese che vuole restare in occidente.
Sono stati i Paesi baltici e il Canada i primi ad esprimere solidarietà al popolo georgiano, preannunciando sanzioni, dichiarandosi senza mezzi termini molto preoccupati per quello che la Russia sta operando a Tbilisi.
Dall’Europa arrivano segnali di solidarietà verso il popolo georgiano, dichiarando non accettabile l’uso della violenza, mettendo allo studio misure per sanzioni e regime dei visti. Tra i manifestanti davanti al parlamento della Georgia si è anche vista Greta Thunberg, con un gruppo di attivisti di “Tbilisi Pride”, per i diritti della comunità LGBT per sostenere una battaglia per la democrazia e la libertà.
Un crogiolo di identità e storia
La Georgia è un ex stato sovietico, (indipendente dal 1991), con una popolazione di appena 3.700.000 abitanti, in una zona strategicamente cruciale. Una realtà che, seppur piccola, ospita un crogiolo di comunità di lingue diverse come quella azera e armena, oltre a una significativa e antica componente ebraica, russa, greca e numerosi immigrati da Turchia e ora dalla Cina. Come gli armeni anche i georgiani vantano una delle chiese cristiane (culto ortodosso) più antiche ed è fortissima l’identità nazionalistica.
Dietro le proteste vi è la paura che si ripeta quanto vissuto in Bielorussia, (dove chi è al potere ci rimane, come Aljaksandr Lukashenko da 30 anni), attraverso svolte da cui poi è difficile tornare indietro, assicurando quell’alternanza che caratterizza le democrazie europee.
Le masse, che in piazza rischiano botte e arresti da ormai una settimana, sarebbero per Mosca finanziate del tetro e decadente Occidente che soffia sul fuoco. Insomma prive di quell’anelito di libertà che, a quanto pare, è più sentito ad Est, dove chi protesta sventola le bandiere blu comunitarie, che in Europa. Per diversi osservatori si tratta di quella pratica di “normalizzazione” che è stata imposta a realtà come a Minsk. Mosca parla di uno scenario in stile “rivoluzione arancione”, che interessò l’Ucraina tra il 2013 e 2014.
La situazione a Tbilisi si fa molto pesante per violenze e arresti, ma l’orgogliosa lotta e la voglia di libertà del tenace popolo georgiano non si ferma.
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