E’ stata una vittoria netta ed è la prima volta che un presidente americano s’impone al secondo mandato non consecutivo con margini oltre ogni previsione. Di brogli non si parla più ed ora il miliardario Donald può rilassarsi con la sua famiglia allargata, ammorbidendo i toni
Si tratta del presidente (il 47°) più anziano al momento della sua elezione, ma quello che conta il sogno di grandezza che ha tramesso, non abbandonando toni messianici (“Dio mi ha risparmiato per un motivo”…), accolto dai ceti proletari, immigrati compresi, toccati dall’inflazione, nonostante un’economia in salute anche grazie all’industria bellica.
Meno tasse (specie per i ricchi), meno immigrati, rifiuto del cambiamento climatico, dazi sulle importazioni (anche dall’Europa) e armi per tutti sono il must di un mantra che strizza entrambi gli occhi al mondo no vax. Poi c’è la promessa di portare la pace, non si sa come e a che prezzo, per chi si dovrebbe solo arrendere e abbandonare le sue legittime istanze di libertà. Le discusse traversie giudiziarie e l’assalto a Capitol Hill (2021) sono episodi ormai del passato.
In politica estera, alla possibile riduzione dell’impegno verso l’Ucraina e alla totale mano libera al governo di Benjamin Netanyahu, si aggiungono gli effetti di un iperprotezionismo attuato con pesanti dazi sull’import dalla Cina e quello contro l’UE, lasciando spazio a contatti diretti con singole realtà nazionali dove si ritiene saranno privilegiati quelli con governi sovranisti.
La possibile inversione di rotta americana nell’aiuto a Kiev, la politica dei dazi potrebbe dare una mazzata ai partner del vecchio continente e il filo diretto con i governi sovranisti premierà i rapporti bilaterali a spese di quelli comunitari con il plauso dell’internazionale dei patrioti.
Per i democratici americani si tratta di una cocente sconfitta. A risultato acquisito c’è chi fra i dem ha rimpianto l’anziano Joe Biden più vicino alla dimensione popolare del partito rispetto a una Kamala Harris vista troppo come espressione del mondo radicale californiano. Un contrasto che non è stato recepito da quelle donne, su cui tanto i dem puntavano, in un paese in cui in diversi stati non è facile abortire.
In ogni caso il ritorno del tycoon solleva forti preoccupazioni e alcuni arrivano a ventilare il rischio di un America sempre più vicina alla confraternita di autocrazie sempre più potenti e influenti nel mondo.
“L’America è sull’orlo di un precipizio autoritario. La democrazia ha delle regole e l’autocrate non ne vuole limitandosi ad un Ci penso io, (che riprende il ghe pensi mi del nostro Silvio nazionale). Trump non vuole regole per questo ama tanto gli autocrati, affiancato da sovranisti, suprematisti, mormoni con il supporto di miliardari geniali, libertari estremi (Elon Musk e non solo) che s’impongono come una élite che sa come si vive e comandare facendo sognare (pagando meno tasse)” è il pensiero di Anselma dell’Olio (moglie di Giuliano Ferrara). Il suo è un commento critico e particolarmente eloquente, ricorda come negli Usa il presidente abbia grandi poteri, confidando in quei limiti auspicati dai padri costituenti.
Consenso popolare
Con Trump si ritrovano suprematisti, mormoni, destre estreme ma insieme a questi compagni di viaggio scomodi si sono ritrovati oltre 72 milioni di cittadini che hanno votato per il tycoon con entusiasmo, rispetto ai 67.224.159 che hanno scelto il blu del democratic party. Il risultato finale è 292 a 226 grandi elettori per Trump, superando ampiamente la quota vittoria posta a 270. Un dato che segnala l’inequivocabile sconfitta della Harris che, non a caso, si è presentata per commentare l’inattesa debacle dopo molte ore dai risultati: “noi accettiamo i risultati quando perdiamo un’elezione e riconosciamo la vittoria dell’avversario. Un fatto che distingue la democrazia dalla tirannia. Per questo non ci arrenderemo”. Un’affermazione in polemica con il rifiuto di Trump di accettare la sconfitta del 2020, spingendo quella protesta che culminò nell’assalto del Campidoglio del 6 gennaio 2021 mentre era in corso l’insediamento di Joe Biden. Tutto questo in una fase che vede gli Usa di Biden avere risultati economici eccellenti penalizzati dal fatto di non essere riusciti a mettere argine a un inflazione che ha toccato e pesato particolarmente sui ceti popolari. E l’ambiente?: i fondi profusi da Biden per le svolte ecologiche del futuro sono per Trump un fatto marginale, in nome del suo rinnegare il riscaldamento globale e del lasciare mano libera alle imprese a partire da quella del petrolio , con la promessa di meno tasse. Business is business. Gli effetti si sono visti nelle immediate reazioni di borsa con l’exploit dai titoli della Tesla di Musk, mentre le quotazioni delle imprese europee e cinesi automobilistiche sono tutte in forte ribasso.
Il quadro che emerge è quello di un un paese isolazionista , poco interessato all’Europa come realtà comunitaria e alla Nato, che privilegia , da posizione di forza, rapporti con i singoli stati. Una prospettiva che, in questa Europa indebolita, è facile ritenere che possa aumentare la conflittualità tra stati sempre meno ”comunitari”. Mentre per l’Ucraina la pace potrebbe significare una normalizzazione in stile Bielorusso mentre delle aspirazioni di indipendenza dei popoli pazienza se ne facciano una ragione.
In Italia questo è stato il commento di Elly Schlein: “Brutta notizia per l’Ue e l’Italia e per le sue politiche economiche per gli effetti del protezionismo che subiranno imprese e lavoratori in Europa e in Italia”.
Ancora un cenno su Elon Musk (53 anni) e uno sulla Cina. Per il miliardario, patron di Tesla, Space X e OpenAl, che ha supportato fortemente Donald Trump, (130 milioni di dollari) con un rilevante impatto mediatico grazie al suo impero, si prospetta un ruolo politico di rilievo: il geniale imprenditore innovatore, che ha grosse commesse con il governo americano, può così passare da controllato a controllante di se stesso.
Per la Cina è evidente che i dazi imposti ai suoi prodotti penalizzeranno in particolare quei ceti popolari che ne sono grandi consumatori in quanto poco costosi.
Infine sullo spirito del pacifista Trump ricordiamo come fu colui che fece saltare ritirando gli Stati Uniti da un faticoso e importantissimo accordo quadro con l’Iran sul controllo dell’arsenale nucleare, raggiunto nel 2015, spinto dall’amministrazione Obama con il consenso di tutti i principali soggetti internazionali (eliminando sanzioni poi reintrodotte) e come fu colui che compì nel 2018 un gesto alquanto indigesto per il mondo arabo come il trasferimento della ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, sposando in pieno le tesi di Benjamin Netanyahu. Anche il tema tanto dibattuto dei due stati per Palestina e Israele non viene minimamente toccato mentre si privilegia come partner affidabile l’Arabia Saudita, lasciando carta bianca al leader iper conservatore israeliano.
Quanto durerà e cosa determinerà il sogno trumpiano che ha pagato in termini elettorali ma che dovrà fare i conti con realtà geopolitiche e preoccupanti sfide tecnologiche e ambientali in continua evoluzione?
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