“…Se si rileggono i testi che di tanto in tanto pubblicava sotto la forma di interviste immaginarie, o di auto-interviste come quella ‘concessa’ alla fantomatica Domitilla Delfino sulle magnifiche sorti e progressive dell’arte occidentale alla fine del XX
secolo si nota subito l’acume profetico di quella solitaria polemica contro la deriva consumista del sistema dell’arte: ‘…oggi molti galleristi, critici e direttori di museo si sentono un po’ artisti e si esprimono utilizzando le opere dei loro artisti….si organizzano grandissime mostre con centinaia di artisti…che servono ad illustrare le visionarie idee dei curatori che spesso vogliono anticipare profeticamente quello che faranno gli artisti nel decennio successivo…’.
Quel rifiuto della civiltà dello spettacolo così apertamente dichiarato -che teneva fermo il principio antagonista dell’avanguardia- esercitava su di me notevole attrattiva e influenza.
Mi pareva ci fosse una certa sintonia tra quel richiamo al primato dell’ arte sull’industria culturale e le revisioni estetiche di chi, come me, stava rivalutando l’ idealistica autonomia dell’ intuizione-espressione dopo la parentesi marxista e la deriva ideologica sessantottina.
Quando si trattava di mettere sotto accusa le facilonerie contemporaneiste il principale bersaglio era l’equivoco di quanti scambiano l’arte con ciò che è moderno, nuovo e di moda.
Le vere opere d’arte, diceva, sono senza tempo in quanto ‘originarie’ e perciò ‘sempre in diretta’.
Il resto non è che perdita di energia nel ginepraio del gusto, dell’effimero consumo culturale e delle operazioni di mercato. Ed io aggiungevo, a complemento del discorso, il noto distinguo di Croce secondo cui quando si cerca ‘la modernità nell’arte si cerca solo la modernità e non l’arte: e sempre benedetto sia, Don Benedetto!…”

Duccio Trombadori
“De Dominicis amico pittore.
Storia e cronistoria di un sodalizio”
Maretti editore, 2012

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