In questi giorni di campagna elettorale imperversa il tema della rappresentanza femminile e dell’opportunità di avere probabilmente, se le urne rispetteranno i sondaggi, la prima donna Presidente del Consiglio.

È una notizia che dovrebbe trovare un certo favore tra le donne che da anni si battono per la democrazia paritaria e per scardinare le tante discriminazioni di cui ancora oggi sono vittime le donne.

Ma così non è.  Prima di tutto non si ricordano (o non si evidenziano) le origini di Giorgia Meloni, la sua formazione politica che deriva da quell’ideologia fascista che vede la donna fattrice, regina del focolare e serva della Patria con attitudine alla cura della famiglia, la cristianità, mentre viene disprezzata l’indipendenza, la forza, la dialettica delle donne.

E d’altronde le tre parole d’ordine di Giorgia Meloni, urlate più di una volta sui palchi di varie città sono: Dio, Patria e Famiglia.

A chi glielo fa notare Meloni risponde rassicurando, dicendo che quello non è uno slogan fascista, che è al contrario un “manifesto d’amore”.

E d’altronde la comunicazione di Giorgia Meloni in questa campagna elettorale è stata tutta giocata sui toni del chiaro scuro, non prendendo le distanze, ma anzi rafforzando, principi e ideologie a lei così care (non voler togliere per esempio la fiamma tricolore dal simbolo del suo partito), ma dall’altra parte cercando di rassicurare l’elettorato più moderato dicendo per esempio che, se governerà,  non modificherà la 194,  pur essendo ben consapevole che nelle regioni a guida centrodestra la legge viene già svuotata e si pongono paletti e ostacoli alle donne tanto che il percorso per arrivare ad abortire può davvero diventare drammatico.

Ha imparato bene la leader di Fratelli d’Italia ad usare la strategia di Agenda Europa: Ristabilire l’ordine naturale spiegata nella pubblicazione pubblicata da EPF European Parlamentary Forum on Population & Developement

Questa strategia estremista ha lo scopo di far retrocedere i diritti umani in materia di salute sessuale e riproduttiva in Europa nel nome della “legge naturale”

Portata avanti da inizialmente (nel 2013) ed in segreto, da pochi attivisti, ora raggruppa un centinaio di organizzazioni contro i diritti umani, contro i diritti delle donne e anti LGBT provenienti da oltre 30 Paesi Europei.

Ha come obiettivi rovesciare le leggi esistenti sui diritti umani fondamentali legati alla sessualità e alla riproduzione come: il diritto al divorzio, per la donna l’accesso alla contraccezione, alle tecnologie di riproduzione assistita all’aborto, la parità per le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali o intersessuali (LGBTI), il diritto di cambiare genere o sesso.

Se si segue attentamente la campagna di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia si riconosce immediatamente la strategia comunicativa di queste organizzazioni sovraniste, raggruppate in Agenda Europa.

Non più demonizzare i diritti umani, ma svuotarli e usare una comunicazione che “tranquillizzi” con una ridefinizione del linguaggio e della terminologia dei diritti umani.

Il manifesto Agenda Europa incoraggia infatti la creazione di un significato alternativo per i diritti umani stabiliti e l’utilizzo di questo in lavori accademici.

I messaggi devono essere positivi ed accattivanti, mai contro: pro-vita, pro-famiglia.

Questi messaggi però, se possono trarre in inganno chi ha la memoria corta o chi non ha partecipato alle lotte per i diritti delle donne, non hanno presa su chi quelle lotte se le ricorda bene e ricorda che tutte le leggi che il movimento delle donne, insieme a forze democratiche e progressiste e a donne politiche intelligenti e capaci è riuscito a far approvare (e qui solo per citarne alcune più datate: pensioni alle casalinghe. Il nuovo diritto di famiglia, la cancellazione del delitto d’onore, la tutela della maternità, l’istituzione dei nidi e dei consultori, la legge 194 per l’interruzione di gravidanza o quelle più recenti: l’introduzione dell’utilizzo della pillola del giorno dopo, e della Ru486, la legge sul congedo di paternità, la riforma delle adozioni, la legge 162 sulla parità salariale, l’Ape sociale, proroga opzione Donna, la tampon tax, I fondi istituiti per il contrasto alla violenza di genere o per promuovere l’imprenditoria femminile, o quello per i caregiver (quasi sempre donne), la legge sul consenso e sulle molestie sessuali),  sono state quasi sempre osteggiate  da Meloni e dal suo partito, ieri come oggi.

Ecco perché non possiamo essere contente che probabilmente la prima donna Presidente del Consiglio abbia una visione in cui la differenza femminile non è un valore a cui ispirarsi, un valore rivoluzionario in una politica il cui potere è stato sempre e solo detenuto dagli uomini, perché la sua visione è una visione maschile e maschilista.

Solo una donna portatrice di questa differente visione che raggiungesse la carica di Presidente del Consiglio, solo allora sarebbe una bella notizia.

Laura Onofri

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