È stata una esperienza forte, per stomaci resistenti.
Arrivare al confine con la guerra, ai confini dell’Europa e trovare tanta disperazione e allo stesso tanta voglia di lottare e vivere.
Facciamo un passo indietro, con i miei compagni di viaggio, siamo partiti da Settimo Torinese nella mattinata di sabato 12 marzo con direzione Polonia, Jaroslaw e il confine con l’Ucraina.
Abbiamo fatto un viaggio in pullman, di 22 ore, arrivando al punto di destinazione alle 8 del mattino. Trasportavamo medicinali e beni di prima necessità che abbiamo acquistato e raccolto nei giorni precedenti la spedizione. La città di Settimo e tanti amici dai territori limitrofi e non, hanno risposto con un cuore immenso, avevamo circa 200.000 euro di beni. Come Rotary Distretto 2031 ci siamo occupati di lanciare la campagna di raccolta, organizzare il viaggio e consegnare il tutto ad un transfert ad hoc che attraversasse l’Ucraina in direzione Ternopil, dove il Rotary locale una volta ricevuto il tutto, ha smistato fra Ospedale Pediatrico e altri punti di accoglienza per sfollati e rifugiati.
Arrivati nei pressi di Jaroslaw, il Rotary locale polacco, ci ha aiutato a scaricare il tutto a Przemysl, città a 3 km dal confine dove è situato anche il centro d’accoglienza più grande dedicato ai profughi ucraini. Il primo punto di arrivo per chi scappa dalla guerra. Il centro appare come un enorme centro commerciale organizzato in padiglioni a seconda delle destinazioni che le persone ucraine dichiarano. Provate ad immaginare un padiglione del Salone del Libro di Torino, senza stand e libri, ma solo brandine materassi e persone ovunque. Ecco quello che vi si pone davanti, un pugno allo stomaco, pensando a quante persone per colpa di qualcuno che gioca a fare la guerra abbiano perso tutto. Ognuno di loro ha i vestiti addosso e forse un cambio nella borsa o nello zaino, se hanno fatto in tempo. Nel tardo pomeriggio di domenica 13 marzo, c’è stato un bombardamento vicino al confine, a poco più di 25 km dal centro. Dopo qualche ora, è arrivato un fiume in piena di sfollati che richiedeva aiuto, un posto per dormire o un passaggio verso un amico, un parente o semplicemente un luogo sicuro dove poter ricominciare o aspettare la fine della guerra.
Siamo ripartiti dopo l’una di notte. Con noi sul nostro mezzo alcune famiglie prelevate dal centro con destinazione l’Italia del Nord Ovest. Alcune persone non arrivano a far l’accredito, salgono sul primo passaggio che trovano dalla frontiera a centro di accoglienza, senza sapere chi possa essere, spero vivamente che non si siano messe nelle mani di chi trasforma la vita in schiavitù. Accreditarsi è importante, perché quando entri nel centro sei tutelato e tracciato, la protezione civile italiana e i militari polacchi che supervisionano il centro, si prendono cura di chi arriva insieme ai volontari e come scritto in precedenza, vengono divisi per destinazione. Anche i vettori devono registrarsi, dichiarare il mezzo, la destinazione, i nomi degli autisti e il responsabile del viaggio, tutto per garantire la sicurezza di queste persone e la possibilità di rintracciare il percorso.
Ci sono scene che ancora ho ferme nei miei occhi: una mamma che affida i propri figli alla nonna, con gli occhi gonfi, cercando di non piangere per essere forte davanti ai propri bambini, che tutto volevano tranne staccarsi dalla mamma. Poi anche la madre ha ceduto. Un gesto di sacrificio, lasciare andare i propri bambini lontano dalla guerra, al sicuro in salvo da qualche parte in Europa, e tornare in Ucraina, riattraversare il fronte, per dare sostegno al marito chiamato obbligatoriamente alle armi e accudire gli altri nonni malati che non possono affrontare un viaggio. Forse quella è stata l’ultima volta in cui ha potuto vedere i suoi figli, o forse (come spero) li rivedrà appena questo conflitto cesserà. Girando per il centro di accoglienza sono migliaia le storie che si possono raccontare, i bambini sono gli unici in grado di regalare un po’ di allegria in mezzo a tanta disperazione, giocano fra di loro, corrono nei corridoi, tirano una pallina o semplicemente si abbracciano e ridono. Una innocenza che in parte viene rubata dalla visione della distruzione.
Mi ha colpito come un bambino di 10 anni, giocasse con un tablet a creare animazioni (io non saprei nemmeno da dove partire), tutte però incentrate sulla guerra. Immagini di cattivi infetti con i fucili, o carri armati alle spalle, l’animazione della distruzione e della morte costante in ogni scena. Allo stesso tempo, però, sempre la comparsa di un eroe pronto ad annientare i cattivi e riportare la pace. Il 90% delle animazioni viene dettagliata da armi, missili e particolari bellici. La guerra è un trauma e si traduce anche nell’innocenza di un disegno animato, i nostri ragazzi sognano e disegnano un pallone, li rappresentano scene di costante guerra e morte.
Con i volontari del centro raccolta, prima di partire abbiamo preparato delle sacchette con un kit di benvenuto per bambini: un succo, una merendina, un album da colorare e un simpatico peluche. Alcuni kit li abbiamo lasciati alla protezione civile italiana, così da rendere felice qualche bimbo appena arrivato, gli altri li abbiamo distribuiti sul pullman. Uno dei bimbi a bordo, ha smesso di piangere e ha iniziato ad abbracciare il suo nuovo amico Koala, che non mollerà per tutto il viaggio.
Lungo la strada di ritorno, prima di uscire dalla Polonia, il Rotary Club di Katowice ci ha portato altre famiglie ucraine da portare in Italia. Nei giorni precedenti si sono presi carico di queste persone, adulti e bambini, direttamente nelle proprie case. Tanti club, tanti rotariani, che non si conoscevano, hanno collaborato allo stesso fine, con ruoli diversi, per salvare più vite umane possibili. La vita crea legami che nemmeno la guerra può distruggere.
Lungo il nostro pellegrinare verso la meta finale, arrivati in Italia, chiediamo ai nostri nuovi amici a bordo, se volessero provare la pizza italiana. Anche gli adulti, in quel momento hanno ritrovato il primo sorriso, dopo tante ore passate a guardare verso un futuro incerto. La pizza italiana, tanto ambita e buona, ha subito riscosso un grande successo con un si unanime, lasciando per qualche minuto la guerra alle spalle.
Siamo poi arrivati al centro di accoglienza finale intorno a mezzanotte, gestito da Croce Rossa militare e coordinato dalla prefettura. Ora, dopo essere stati accuditi e coccolati da chi lavora con la divisa rossa della Croce Rossa, queste persone verranno ospitate per un po’ di mesi presso alcune famiglie che si sono rese disponibili. Non diamo per scontato questo gesto, confrontandomi con persone di altre nazionalità in Polonia, solo noi in Italia siamo così attivi e sensibili su questo tema. Siamo però un modello per l’Europa che sta tentando di replicarlo anche negli altri stati membri.
Luca Rivoira