Quello che è accaduto nelle carceri italiane – e che accade in queste ore – è gravissimo per molti aspetti. Il primo che mi preme sottolineare riguarda il metodo. Noi (radicali) da decenni denunciamo un sistema carcerario che non rispetta i diritti dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria, nonché di tutti gli operatori. Un sistema dove il sovraffolamento è la regola, dove l’abuso di psicofarmaci è la regola, dove il sottorganico degli agenti è la regola, dove il degrado delle strutture è la regola. Lo abbiamo denunciato in ogni modo e in ogni forma, con la nonviolenza. Abbiamo fatto scioperi della fame, centinaia e centinaia di visite e di conferenze stampa in ogni parte d’Italia, presidi, denunce, fino a qualche anno fa con la forza prorompente di Marco Pannella, oggi con le nostre forze residue. Eppure la politica e l’informazione italiana non hanno recepito la necessità di mettere il dossier carceri tra le priorità. Abbiamo ricevuto innumerevoli NO all’indulto e all’amnistia, così come sulle misure alternative alla detenzione. Al contrario i Governi, chi più chi meno, hanno proseguito ad utilizzare il sistema penale e il carcere come deterrente su tutto. Ad ogni problema che si presenta la risposta conformista della politica è “Più carcere!”. Abbiamo annunciato per anni l’esplosione del sistema e oggi che esplode, con le fiamme che bruciano le celle, interi padiglioni in rivolta, fughe, violenze e 12 detenuti morti in due giorni, ecco che la politica ascolta e dibatte. Una sorta di ulteriore vittoria della violenza sulla nonviolenza. Alcuni, come l’ineffabile Matteo Salvini, dopo aver causato l’ingolfamento delle carceri con la conseguente soppressione dei diritti chiede il “pugno di ferro”, altri paiono essere più disponibili a ragionare. Quel che è certo è che, di nuovo, il nostro sistema è disposto a muoversi solo quando ci sono morti e quando il problema è scoppiato, non ascoltando chi lo ha annunciato da anni e ha proposto, con concretezza e per tempo, cosa si poteva e doveva fare.
Vengo all’attualità. Se è difficile per chiunque convivere in questo periodo con i provvedimenti di contenimento del virus, lo è a maggior ragione per chi vede ristrette le sue libertà, chi è detenuto. Una situazione che è già di per sé esplosiva diviene oggi fuori controllo in molte realtà. Da una parte vi è il rischio di contagio all’interno, con una sanità e strutture totalmente impreparate a gestire la situazione qualora divenisse realtà; dall’altra la possibilità di ulteriori rivolte è evidente ed è impensabile utilizzare la semplice repressione che avrebbe come unico effetto l’aggravamento della situazione.
Le restrizioni messe in atto per i detenuti con i provvedimenti di contenimento del coronavirus aggravano il loro isolamento e la disperazione. Ecco quindi quel che proponiamo nell’immediato: La decretazione d’urgenza, spesso utilizzata a sproposito, qui potrebbe consentire l’ampliamento delle misure alternative al carcere che potrebbero, in brevissimo tempo, ridurre l’impatto del sovraffollamento; a livello delle singole strutture si dovrebbero estendere di molto, di moltissimo, le possibilità di contatti telefonici con famigliari e amici, che oggi non possono andare a trovare chi è in carcere per le restrizioni suddette.
Per dirla con uno slogan: non ci vuole il pugno di ferro ma ragionevolezza. Quella ragionevolezza che di tutta evidenza è una chimera per il nostro Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.
Igor Boni – Presidente di Radicali Italiani