C’è un’aria minacciosa, inquietante, che aleggia sull’Italia di oggi. Una nebbia nera che non viene dal cielo, ma da un certo modo di riscrivere la storia e anestetizzare la memoria. Ci siamo ritrovati senza accorgercene in un Paese che celebra la festa della Liberazione in un clima di paura e intimidazione, sotto un governo che fatica perfino a pronunciare la parola “antifascismo”, come se fosse un fastidio, un’eredità da archiviare, anziché la tragedia più abominevole della storia umana moderna.
Nel 2025, sotto il governo Meloni, siamo costretti ad assistere a una vergogna che fino a pochi anni fa sarebbe sembrata impensabile. Il 25 aprile, data simbolica della nostra libertà, giorno in cui si ricorda la Liberazione dalla dittatura nazifascista viene definita senza pudore “festa superata”, “divisiva”, addirittura da celebrare “sobriamente” secondo il ministro Musumeci. Una formula asettica, quasi burocratica, per sminuire il senso profondo di una ricorrenza che dovrebbe invece accendere cuori e coscienze ed essere celebrata con orgoglio in tutte le scuole e le piazze d’Italia.
È chiaro ormai che siamo di fronte a un’operazione di revisionismo storico senza precedenti. Una narrazione distorta, diluita, edulcorata. Il fascismo non viene più condannato, ma reinterpretato, giustificato, iniettato nella società goccia dopo goccia, mentre chi lo denuncia viene etichettato come eccessivo, ideologico, pretestuoso.
Siamo arrivati al punto che chi affigge un lenzuolo con scritto “25 aprile buono come il pane, bello come l’antifascismo” viene identificato dalla polizia. È successo veramente ad Ascoli Piceno, dove Lorenza Roiati, un’umile fornaia nipote di eroi partigiani, è stata raggiunta da agenti in borghese per aver avuto l’ardire di esprimere un pensiero ovvio e profondamente civile e poi schedata per ben due volte dopo aver rivendicato con orgoglio la paternità dell’iniziativa. Identificata due volte in quanto antifascista, capite dove siamo arrivati? Le forze dell’ordine, invece di proteggere i diritti sanciti dalla Costituzione, schedano i cittadini in quanto antifascisti. Una vera e propria distorsione pericolosa, un’inversione dei valori senza precedenti. Un fatto gravissimo, che segna un salto qualitativo nella repressione dell’opinione democratica. Un segnale che fa paura, perché non è solo una svista, un errore isolato. È la manifestazione di un clima culturale e politico che criminalizza la memoria e protegge chi la vuole cancellare, l’antifascismo è diventato un elemento da monitorare, da mettere agli atti.
Ma non è finita qui. Il gesto di Lorenza ha scatenato una reazione inquietante. Nei giorni successivi, in città sono comparsi striscioni vergognosi: “Assalto ai forni”, “Da quel forno un tale fetore che diventa simpatico anche il questore”. Offese, intimidazioni, minacce infami che mettono a rischio anche la sicurezza della donna, mentre lo Stato tace e asseconda al contempo una condotta sempre più politicizzata e squadrista di uomini in divisa che dovrebbero difendere e rappresentare le istituzioni, la Costituzione e le persone perbene come Lorenza.
Purtroppo quello della fornaia di Ascoli è solo l’ultimo dei tanti episodi in cui le autorità hanno dimostrato preoccupanti simpatie e atteggiamenti sproporzionati nei confronti del dissenso: dalle manganellate agli studenti di Pisa e Torino, alle cariche sui manifestanti pacifisti di Milano, fino all’esibizione di simboli e scritte neonaziste.
Se non ne siete ancora convinti, sentita questa. Proprio ieri, 28 aprile, a Dongo, il luogo dove ottant’anni fa Mussolini fu fermato dai partigiani mentre cercava di fuggire in Svizzera, orde di camicie nere e teste rasate si sono riunite, come ogni anno, con le braccia tese al grido di “Presente!”, per commemorare il Duce e i 16 gerarchi fascisti fucilati nel 1945. Una scena raccapricciante, un vero e proprio oltraggio alla memoria di milioni di martiri che hanno dato la vita per questo Paese. Vabbè, penserete voi, saranno sicuramente intervenute le forze dell’ordine per fermarli e schedarli? E invece sapete con chi se la sono presa gli agenti in assetto antisommossa? Ancora una volta con i manifestanti antifascisti, quelli che protestavano pacificamente in nome della Costituzione urlando “Ora e sempre Resistenza” e cantando “Bella ciao”. Studenti, lavoratori, attivisti si sono ritrovati bloccati, separati con camionette e cordoni e trattati come pericolosi eversivi. Perché al tempo del governo Meloni ormai funziona così. Lo Stato protegge chi alza il braccio, non chi alza la voce.
E a rendere tutto più sconcertante sono arrivate le vergognose parole pronunciate da Ignazio Benito Maria La Russa, Presidente del Senato, seconda carica dello Stato. “A Dongo c’erano cento persone che ricordavano dei morti. Il loro modo di esprimere questo sentimento era pacifico, senza odio.” Praticamente una sorta di gentile e bonario omaggio a dei morti da parte di qualche bravo ragazzo sensibile che non faceva nulla di male, a suo dire. Peccato che quei morti fossero alcuni dei peggiori criminali della storia italiana di tutti i tempi, collaboratori di Mussolini, mandanti delle deportazioni, delle fucilazioni, delle leggi razziali.
Ma La Russa, da buon nostalgico dichiarato, minimizza. Li giustifica. Li protegge. Li blandisce. E non è solo lui. È un intero sistema di potere che sta cercando di farci dimenticare da dove veniamo. Che vorrebbe riscrivere la Costituzione, smantellare i tabù che ci hanno protetti fino ad oggi e persino inocularci lentamente l’idea che il ventennio in fondo non fosse poi così male. Che si possa parlarne con indulgenza. Che si possa perfino simpatizzare.