La dura repressione e il divieto a manifestare non sono riusciti a fermare la protesta dell’opposizione turca, arrivata al quinto giorno di mobilitazione. Una protesta accompagnata dal suono di migliaia di padelle battute dalle finestre dei quartieri popolari. Le manifestazioni, che superano per partecipazione e intensità quelle del passato, rappresentano un autentico problema per il governo di Recep Tayyip Erdoğan di fronte alla richiesta di libertà e democrazia che intende fermare la svolta autoritaria.
A far esplodere la rabbia popolare è stato l’arresto, avvenuto nella notte del 22 marzo, del popolare sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, ora trasferito in un carcere speciale, accusato dallo stesso Erdoğan di essere a capo di un’organizzazione criminale votata alla corruzione.
Imamoglu è il candidato unico dell’opposizione per sconfiggere il presidente Erdoğan e il suo governo autoritario nelle prossime elezioni presidenziali (2028).
Obiettivo di chi scende in piazza è far tornare il paese a quel laicismo sempre evocato dal padre della Patria Mustafa Kemal Ataturk, fondatore della Repubblica e della Turchia moderna laica e nazionalista, dopo la dissoluzione dell’Impero Ottomano.
La protesta, partita da Istanbul (con migliaia di persone che si sono subito riversate indignate in Piazza Taksim appena si è diffusa la notizia dell’arresto del loro sindaco), si è subito estesa in altri 67 centri del paese, inclusa la capitale Ankara, testimoniando il crescente e sentito disagio di diversi ceti sociali anche moderati.
Repressione e padelle
Il regime autoritario ha alzato il pugno di ferro non essendo più sicuro di un consenso, avversato non solo da studenti e realtà liberali scese in piazza in modo imponente e determinato.
Contro i manifestanti si è scatenata la repressione, con quelle maniere forti di casa nelle autocrazie, che, oltre a cannoni d’acqua, gas urticanti e proiettili di gomma, ha determinato oltre 1.100 gli arresti tra i manifestanti, mentre sono un centinaio gli esponenti dell’opposizione e i giornalisti fermati. Dati che potrebbero essere molto più alti.
A documentare la solidarietà popolare ai manifestanti vi sono centinaia di medici volontari che, in centri di assistenza sanitaria improvvisati in strutture scolastiche, commerciali e turistiche, hanno accolto e curato i feriti degli scontri, dando riparo ai manifestanti.
La protesta nella notte è accompagnata dalla colonna sonora rappresentata da migliaia di padelle che, dalle finestre dei quartieri popolari, vengono battute in segno di solidarietà con i manifestanti.

15 milioni di votanti alle Primarie spaventano il regime
Il sindaco, leader del partito di centrosinistra e nazionalista CHP, è stato arrestato con accuse di corruzione e di fiancheggiamento al terrorismo curdo, mentre sono in corso le primarie che hanno confermato l’incredibile consenso popolare di Imamoglu con la partecipazione di 15 milioni di persone, rispetto al milione e mezzo di iscritti al CHP. Uno straordinario successo grazie a consultazioni aperte anche oltre gli iscritti al partito di Imamoglu. Un quadro che riprende quanto successe nelle primarie del Pd vinte a sorpresa da Elly Schlein.
“Accuse immorali”
Le generiche accuse sono state definite dal sindaco di Istanbul “immorali e prive di ogni fondamento, con pseudo prove costruite ad arte”. Sul fiancheggiamento al PKK vi è il solo e incontestabile appoggio, indicato e fornito in piena legittimità a Imamoglu, del partito democratico d’ispirazione curda, presente in parlamento.
La repressione dell’imponente protesta sta iniziando in qualche modo a minare il granitico Erdoğan e non è un caso se, in questi giorni, anche la lira turca ha registrato qualche arretramento.
La domanda degli osservatori e se il mondo fondato da Ataturk stia svoltando verso un ennesima autarchia repressiva, mentre nelle piazze si battono le mani urlando: ” Erdoğan dimettiti” e “Tutti insieme contro il fascismo”.
Censura e social media
Che ci si trovi di fronte ad una stretta autoritaria lo testimonia anche il modo con cui i media ufficiali censurano ogni notizia riguardanti l’imponente protesta in corso. Una protesta che non ha precedenti anche in una realtà in cui la popolazione non si è mai tirata indietro dallo scendere in piazza.
Per i manifestanti risulta fondamentale il ricorso ai canali social che, non a caso, sono demonizzati da Erdoğan che li ha definiti “piaga della società”.

Chi critica legittimamente e in piena libertà l’Europa matrigna dei burocrati dovrebbe sollevare qualche volta il tetro sguardo sovranista e affarista verso quella grande sete di diritti civili, tolleranza e democrazia manifestata a caro prezzo da maree di giovani e cittadini che lottano e guardano all’Europa e ai suoi diritti civili contro gli abusi dei regimi autoritari.
La repressione è forte ma non è sempre facile fermare la volontà popolare. Un dato che il clima autoritario dominante sembra dimenticare.
Certo è quanto mai triste registrare il quasi silenzio europeo nel denunciare i livelli di repressione toccati in un Paese che fa parte della Nato e che aspirava ad entrare nell’Unione Europea (domanda alla Cee del 1987 e negoziati di adesione all’UE avviati del 2005). Cosa che forse avrebbe potuto evitare simili tendenze autoritarie.
Eloquente il ruolo che ha visto la Croazia, ultima entrata nella UE nel 2013, aprire una fase di grande crescita e di pace dopo secoli di conflitti.