“Un viaggio nel labirinto dell’essere umano che, con o senza colpa, ha dovuto affrontare la giustizia armato soltanto dell’illusione di un mondo giusto, quello in cui le persone buone sono ricompensate e le cattive punite” è la premessa di Guglielmo Gulotta, autore di “Tra ombra e luce, storie di ordinaria giustizia” (Ed. Albatros), scritto insieme alla giornalista Stefania Panza.
Nel libro, l’autore, uno dei massimi esperti di psicologia giuridica, ordinario presso l’Università di Torino, psicoterapeuta e avvocato, smonta il pregiudizio per il quale “se tizio è nei pasticci qualcosa di male avrà fatto”, evidenziando la fallacia della finta sicurezza perché “nulla di male ci accadrà se righeremo dritto”. No, purtroppo non è così. E i casi presentati nel volume, in modo agevole privo di tecnicismi, lo dimostrano ampiamente. “Si può essere ingiustamente condannati perché anche chi giudica è soggetto alle stesse fallacie” è l’amara constatazione del professore, ribadendo il suo impegno e la sua battaglia per un processo giusto, nel rispetto delle regole, per un’equa distribuzione delle responsabilità scevra da ingiuste crocifissioni.
“Non si può non tener conto della storia dell’essere umano, della sua complessità e delle vicissitudini che l’hanno portato a incappare nella giustizia terrena” – aggiungendo -: “Come psico avvocato (che usa la psicologia come leva del diritto) non riesco a dividere il mondo tra buoni e cattivi, per questo cerco sempre l’innocenza anche nel peggiore dei reati, mantenendo l’etica e la dignità delle persone”.
Questo nell’ambito di una battaglia contro quello che Gulotta definisce frutto di “un patto di ignoranza” tra gli operatori forensi. Una condizione che porta a una costruzione giudiziaria spesso avulsa dalla realtà e dal suo principale interesse: l’uomo e il suo comportamento. Vi è poi la critica al carcere come luogo di punizione che vale per ogni tipo di reato.
Un ulteriore monito tocca quel pregiudizio che fa ritenere scontata un’accusa cui si aggiunge , sulla base di una lunga esperienza , il consiglio di non sentirsi troppo al sicuro per il solo fatto di essere persone corrette. Un consiglio quanto mai importante visto il dramma di tante persone che, da assolutamente innocenti, hanno preso sottogamba delle accuse non replicando e difendendosi in tempo prima che la macchina della giustizia lentamente li stritolasse.
Centralità dell’uomo, indipendentemente dalle accuse. Non a caso nel volume “oltre alle vicende giudiziarie, viene dato spazio alle tante umanità che ho incontrato in oltre cinquant’anni di attività, per far emergere quell’invisibile che sfugge alle cronache mediatiche e alle freddo linguaggio forense” precisa Gulotta.
Particolarmente toccante è il capitolo dedicato ai falsi abusi sui minori significativamente intitolato: Crocifissioni.
Qui viene citata la sindrome da accuse sessuali da divorzio (SAID) per i malcapitati padri (alcuni sono arrivati al suicidio). Qui rientra il modo con cui possono essere stravolte le parole dei bambini dalle malizie degli adulti, anche grazie al ricorso ad esperti che tali non sono. Parole che inquinano il ricordo dei figli e che si trasformano in pietre e in prove di un castello accusatorio, anche se mancano riscontri. Insomma in un virus che abbatte ogni difesa con il rischio che lo sventurato di turno possa essere frettolosamente crocifisso.
Nel testo abbondano le citazioni di letterati, filosofi e poeti. Gulotta riporta una frase dell’accademico Piero Calamandrei: “niente di male sul crocifisso in aula, ma non dovrebbe stare dietro ma in faccia ai giudici, in modo che abbiano più umiltà mentre giudicano e si ricordino del terribile pericolo di condannare un innocente”. E concludiamo con un’altra significativa frase di Voltaire ripresa dall’autore: “Le streghe hanno smesso di esistere quando abbiamo smesso di bruciarle”.