Nel sestiere di Cannaregio, tra i canali e le calli storiche di Venezia, Palazzo Diedo, prestigioso edificio del XVIII secolo, supera il tradizionale restauro per diventare: un’opera d’arte vivente, un museo in continua evoluzione e una piattaforma per l’arte contemporanea.
Grazie al collezionista e mecenate Nicolas Berggruen, fondatore del Berggruen Institute, e alla direzione artistica di Mario Codognato, Palazzo Diedo si trasforma in un hub culturale all’avanguardia. Il prestigioso palazzo veneziano si distingue ora come un vivace punto di riferimento, ospitando artisti in residenza che possono creare nuove opere sul posto. Oltre a presentare performance, proiezioni cinematografiche, conferenze e eventi internazionali, il rinnovato Palazzo Diedo unisce passato e innovazione, proiettandosi verso il futuro dell’arte con un flusso ininterrotto di creatività. L’incontro tra passato e presente non è una semplice sovrapposizione, ma un vero e proprio dialogo alchemico, dove l’antico e il moderno si guardano, si confrontano e si trasformano l’uno nell’altro.
Durante il restauro di Palazzo Diedo, la mostra “Janus”, curata da Codognato insieme ad Adriana Rispoli, va oltre la semplice esposizione artistica, diventando una metafora vivente del dialogo tra passato e futuro.
Qui, l’arte contemporanea si fonde con un cantiere ancora attivo, in un’esperienza unica che sfida le tradizionali separazioni tra creazione e conservazione. Questo incontro non solo arricchisce il palazzo di nuove prospettive, ma trasforma anche il restauro in una performance artistica, dove ogni martellata, ogni intervento, diventa parte di una narrazione in evoluzione.
Varcare il Palazzo Diedo è proprio questo: un invito a vedere il patrimonio storico non come un punto fermo, ma come un processo in costante rinnovamento. L’ingresso, rimodellato da Wei, immette in un universo onirico, popolato da esseri fantastici, mentre il grande androne, con le porte d’acqua chiuse, accoglie i visitatori in un’atmosfera ovattata, in cui solo il gorgoglio dell’acqua dei canali e i suoni lontani delle voci veneziane penetrano attenuati. Qui, visitare il cantiere diventa un’esperienza che sfida le convenzioni della percezione, dove lo spazio viene ben presto investito da una sinfonia di rumori: martelli che battono con precisione ipnotica, seghe che emettono un lamento ritmico e trapani che perforano con regolarità ossessiva, trasformando ogni suono in una partitura in divenire e il cantiere in una performance artistica. Il Palazzo Diedo rappresenta un esempio eccellente di “arte in divenire”. Ogni fase del restauro diventa un’installazione artistica a sé stante, con sacchi di materiali e ponteggi che si integrano con le opere esposte, e con i visitatori. Prende vita una sinergia condivisa, in cui il tempo sembra sospeso, trasformando l’ordinario in straordinario.
Il secondo piano di Palazzo Diedo rappresenta una sorta di limbo temporale dove il passato e il presente si intrecciano in un dialogo inaspettato. Qui, le vetrate storiche diventano schermi che proiettano scorci di storia nella modernità. La luce filtra come un narratore silenzioso, illumina il presente con la stessa intensità con cui un tempo accarezzava il passato. È come se ogni raggio di sole portasse con sé un frammento di storia, che si mescola e si scontra con l’arte moderna: un dialogo visivo tra epoche. Le creazioni contemporanee non si limitano a essere osservate; esse rispondono, conversano con gli affreschi secolari di Francesco Fontebasso e Costantino Cedinidi, mostrando che l’arte in fondo, è una conversazione senza tempo, capace di adattarsi, trasformarsi e rigenerarsi di fronte alla stessa luce che ha visto sorgere e tramontare infinite generazioni.
In questo palazzo, dove le mura antiche raccontano storie sussurrate mi appare come un’evocazione arcana, l’installazione “Omen” di Urs Fischer.
Le 600 gocce di vetro a specchio non sono semplici riflessi, ma frammenti di un incantesimo che catturano l’anima di Venezia e la mia. Ogni goccia, sospesa come una lacrima rubata al tempo, distorce e ricrea la città, trasformandola in un’illusione perpetua. Osservando l’opera, mi sembra che essa si trasformi in una creatura vivente, respirando e mutando ad ogni mio sguardo, mostrando continuamente nuove prospettive. Le gocce di Fischer diventano i miei occhi e i miei pensieri, gli occhi magici che osservano e rimodellano Venezia, rivelando un mondo nascosto sotto la superficie del reale. Queste gocce di vetro non riflettono semplicemente la città, la frammentano, la ricompongono e la raccontano in un linguaggio che solo l’arte può comprendere. Qui, l’ordinario si dissolve, e il palazzo diventa un portale verso una Venezia parallela, dove il tempo è liquido e la bellezza si fa sfuggente, sempre sull’orlo della rivelazione e del mistero.
A Palazzo Diedo, il passato non è un peso, bensì una base da cui partire per esplorare e reinterpretare la modernità. È un crocevia di esperienze, un microcosmo in cui la storia si rinnova e la modernità trova le sue radici.