” C’era una volta in Sicilia una splendida vergine che trascorreva i meriggi affacciata al balcone cui dedicava ogni cura adornandolo di rose con maggio, gelsomini e basilico verde come smeraldo acceso. Un giorno, proprio fra i germogli delle sue rose, un giovane moro, rapito da tanta bellezza si fermò a contemplarla. Fra i due nacque un amore scandito da tumultuosa passione, seppur nel silenzio il ragazzo celava un segreto amaro come il fiele: in Oriente l’uomo era già promesso a un’altra donna che avrebbe raggiunto di lì a poco e infine sposarla. Quando la vergine apprese l’inganno, nel cuore della notte, acciecata dall’ira, impugnò la lama di una mannaia e mozzò la testa bruna dell’amato e con essa vi fece un vaso da esporre in quell’angolo di paradiso terrestre dove estasiava l’odore del gelsomino. Complice una luna appesa a un cielo di seta, fra le lacrime la fanciulla piantava nel feroce trofeo il germoglio di una pianta di basilico. ”

La leggenda che narra della “testa del Moro”, idilliaco simbolo di una ancestrale Sicilia, suggestione e rapisce la mente. Il dramma mediterraneo prende forma in preziose e suggestive ceramiche, si intreccia alla voce e al volto dell’artista Cori Amenta che con altrettanta poesia riproduce il suo universo interiore, il canto del suo Io.

Cori Amenta si racconta come un “mantra” attraverso una climax di storie miste a nettare e a veleno; come la dea dell’iliade, canta la sua vita burrascosa e piena di passione, racconta il dilemma dell’esistenza inquieta fino alla trasformazione ad Icona, a Santa.

L’esposizione delle ceramiche sarà visitabile presso Spazionoto, una Galleria che si occupa di promuovere “artisti queer”, termine comprensivo di tutte le identità sessuali e di genere alternative a una società binaria e eteronormativa.

Ma anche, e soprattutto, un’alleanza di identità dissidenti e minoranze di sesso, genere, razza e religione.

L’obbiettivo è quello di individuare un gruppo di artisti, accumunato da alcuni tratti, che sfuggono alle norme di genere nell’età contemporanea. La comunità individuata non è un gruppo omogeneo, ma sicuramente artisti che si diversificano dalla cis-etero normatività.

L’arte, così come l’essere queer, serve a scardinare il carattere precario e artificiale delle nostre consapevolezze in materia di conoscenza, mettendoci a disposizione infinite sfumature dell’essere, ritornando a ognuno di noi non con delle certezze, ma con delle possibilità, dei dubbi, delle variabili.

La pluralità degli sguardi che tracciano i perimetri dell’arte queer, sono la vera ricchezza della narrazione in divenire, nella ricerca di nuove angolazioni possibili, per raccontare un universo che appartiene a tutti, perché sono proprio queste sfaccettature caleidoscopiche che danno ossigeno alla società intera.

La scelta di rappresentare artisti queer è il “fil rouge “ che muove la ricerca, è l’occasione di parlare al vasto pubblico, in modo sincero senza gerarchie di opportunità, di calibro, di convenienza.