“Mia cugina Rachele” nasce nel 1951 dalla maestosa penna di Daphne du Maurier, già nota al grande pubblico per il suo capolavoro “Rebecca la prima moglie”. Non si può dire che la trama sia altrettanto avvincente, ma permane intatto il magistrale stile ipnotico che riesce a trascinare il lettore in una rete intricatissima di sospetti, suspense e ambiguità senza mai concedere la certezza di nulla, uno psycho-drama ammaliante che si respira come una nebbia e si assorbe come un incantesimo lento.
(Daphne du Maurier)
Il narratore della vicenda è il ventenne Philip Ashley, orfano adottato in fasce dall’amato cugino Ambrose con cui cresce spensierato nella sterminata tenuta di famiglia in Cornovaglia. La loro idilliaca esistenza, semplice, laboriosa e fieramente misogina, viene sconvolta improvvisamente da dall’incontro di Ambrose con una lontana cugina, Rachele, durante un viaggio in Italia dal quale non farà più ritorno. Un decesso rapido e misterioso, preceduto da un’inquietante lettera di sospetti e accuse nei confronti della donna, segna l’inizio di un’ossessione morbosa che ci intrappola nelle paranoie e nei meandri più angosciosi del giovane protagonista fino alla fine del romanzo (e oltre).

Quando infatti dopo tanta attesa irrompe sulla scena la famigerata Rachele, Philip si ritrova spiazzato esattamente come noi: l’arcigna prepotente maliarda che tutti si aspettano è in realtà una vedova poco più che trentenne, gentile ed elegante, così graziosamente seducente da far vacillare ogni certezza: “la immaginavo come una creatura mostruosa, grottesca. Gli occhi come prugnole, i lineamenti aquilini simili a quelli di Rainaldi che si muoveva silenziosa e sfuggente tra i muri ammuffiti della villa, con il fare di un serpente…(…) In qualche cantuccio della mia mente c’era una vecchia acida e bisbetica, circondata dai suoi avvocati; (…) una creatura arrogante che parlava con voce troppo alta; in un altro ancora una bambolina petulante e viziata, i capelli pettinati in boccoli; e infine c’era una vipera, strisciante e silenziosa. Ma in quella stanza con me non c’era nessuna di queste. La rabbia mi appariva fuori luogo ora, e anche l’odio”.

La potenza del romanzo sta tutta lì: nella totale incertezza in cui ci fa brancolare la scrittrice che, pur senza grandi colpi di scena, riesce a creare un giallo senza verità oggettive e a suscitare quella curiosità necessaria al prosieguo della lettura. Du Maurier non racconta, insinua. Non spiega, suggerisce. Una maestra del thriller capace di trasportare anche il più scettico lettore in quel paesaggio tenebroso e incontaminato della Cornovaglia ottocentesca e nella sua atmosfera torbida, sensuale, piena di presagi. I personaggi sono talmente vivi da far immedesimare nei loro pensieri e stati d’animo, e chiunque, come Philip, è continuamente indeciso tra fiducia e sospetto in un turbinio di contraddizioni indecifrabili: “Ci sono delle donne, Philip, anche brave donne, le quali, senza colpa loro, sono portatrici di sciagura. Tutto ciò che toccano diventa tragedia.”
Il dubbio è il vero protagonista della storia. Tutto ruota attorno ad una domanda: chi è veramente Rachele? Un’astuta seduttrice? Una vedova inconsolabile? Una profittatrice? Un’assassina? Purtroppo non lo scopriremo mai e la grandezza di questo racconto senza eroi o vincitori, raggiunge il suo apice proprio in un amaro finale aperto che continua a logorarci insieme al povero protagonista anche dopo l’ultima pagina: “… nessuno saprà che ogni giorno, ancora tormentato dal dubbio, mi pongo una domanda alla quale non so dare risposta. Rachele era innocente o colpevole?”

Curiosità: Nel 1952, a un anno dalla pubblicazione del romanzo, è stato tratto un film omonimo, diretto da Henry Koster, con protagonisti Olivia de Havillnd e un giovane Richard Burton che fu addirittura candidato al premio Oscar come miglior attore non protagonista.

Nel 2017 ne è stata realizzata una seconda trasposizione cinematografica (quella che ho visto io e che non ho trovato particolarmente convincente) per la regia di Roger Michell, dal titolo “Rachel”, interpretata da Sam Claflin e da Rachel Weisz nel ruolo dei protagonisti.






























