Ama correre, i dolci, l’impegno per la città e tifa Toro.
L’imprenditrice 49enne Cristina Seymandi, fisico esile da runner, in un raffinato tailleur beige, ultima esperienza politica con la lista civica “Torino Bellissima”, crede nei giovani, nell’innovazione e in un Europa focolare di diritti e democrazia, ma con meno burocrazia.
Da “non criticona”, preferisce le soluzioni alle polemiche.
Si parla della sua volontà di diventare l’anti Lo Russo alle Comunali di Torino del 2027?
“Non mi sono autocandidata. Alla città, più che un nome, serve un progetto condiviso e integrato che ascolti e comprenda tutte le aree della città. Questo per affrontare i temi di sicurezza, lavoro, giovani e infrastrutture, non escludendo nessuno”
Come nasce la sua passione per la politica?
“Io ho sempre fatto politica. Il mio spirito “civil servant” mi ha sempre portato a lavorare per la comunità con pragmatismo. Per questo occorre stare sul territorio con empatia, ascolto. Cose che in questa società si sono da tempo perse per la carenza di confronto tra cittadini e istituzioni. Un fenomeno che riscontriamo nella coppia, nella famiglia, nel sociale, tra istituzioni e territorio. Il dialogo fa la comunità”.
Torino, storicamente riformista e innovatrice, potrebbe registrare qualche sorpresa per la liquidità che oggi caratterizza elettorato e quadro politico?
“Non basta dire città riformista se poi la salute non funziona e si ha la maglia nera per l’inquinamento dell’aria o per la curva demografica in discesa… Un quadro di problemi che sono stati trascurati. Certo le sorprese sono sempre possibili, in condizioni di alta fluidità dei consensi e nella proposta politica”.

Colpa delle precedenti amministrazioni?
“Non sono una criticona. Il mio motto è “non ci sono problemi, ma soluzioni”.
Quale approccio per la Torino del futuro?
“Siamo di fronte a velocissimi cambiamenti, e se è difficile immaginare i lavori del futuro (tanti spariranno) è ancor più arduo capire cosa occorra salvare e cosa è destinato verso un inevitabile cambiamento. Per questo occorre attivare un confronto a più livelli in cui istituzioni e più competenze, con un occhio attento sull’esistente e uno sul futuro delle nuove tecnologie, possano disegnare il futuro della città, pianificando oggi ciò che vogliamo, in termini di lavoro e infrastrutture. Un percorso che coinvolge piani integrati di competenze per rendere la città più sicura, attrattiva, valorizzando e difendendo la nostra identità”.
Lei, oltre ai temi dell’innovazione, ritiene importanti storicità e tradizione. “Pensiamo alla storicità dell’auto a Torino che fa parte della memoria collettiva. Noi degli anni ’70 non vedevamo l’ora di avere un’auto. Quello che fu importante per la nostra generazione non lo è più per la generazione Z, che fa anche a meno della patente. Consideriamo che i telefonini per i ragazzi non hanno alcuna storicità, come tutto quello che arriva da prima. Conta solo la performance. Come possiamo tramandare quell’idea di storicità alle nuove generazioni?”
Come conciliare tradizione e programmazione?
“Giusto difendere le nostre tradizioni, la nostra cultura, ma dobbiamo assolutamente nella programmazione seguire approcci innovativi, in cui sia fisso il concetto di flessibilità, per non rischiare di costruire città su modelli del passato”.
Come finanziare l’innovazione, fattore centrale?
“Purtroppo il nostro sistema imprenditoriale è ancora bancocentrico e trovo impensabile che nel 2025 una percentuale di fatturato delle imprese non venga diversificato sulle start-up, centrali per l’innovazione, come avviene in molte realtà europee. Per questo gli imprenditori dovrebbero diventare più recettivi e meno lenti e diffidenti verso le start-up e guardare più all’Europa, al venture capital, oltre ai numerosissimi bandi dei fondi europei, mirati al miglioramento dei processi produttivi in un contesto di sostenibilità ambientale. E’ comunque evidente quanto ci penalizzi il nostro non saper “fare sistema”. Non a caso gran parte delle innovazioni che utilizziamo arrivano dall’estero, mentre molte delle cose inventate a Torino ci sono state portate via”.
Sul territorio vi sono interessanti novità sul piano tecnologico…
“Il Politecnico è un gioiello che l’Europa ci invidia. Vi sono significative iniziative come la Vehicle Valley Piemonte, distretto tecnologico automotive e della mobilità, con eccellenze imprenditoriali, e il polo di digitalizzazione dei processi produttivi CIM 4.0 (Competence Industry Manufacturing). E’ importante che i fattori di crisi non cancellino la propensione imprenditoriale e innovativa del Piemonte, che va assolutamente sostenuta”.
Cos’è per lei il green?
“Il rispetto ambientale è fondamentale. E’ importante attivare un’ecologia sostenibile, non solo per l’ambiente, ma anche sul piano economico. Ovvero: se noi dismettiamo un motore inquinante, ma nel resto del mondo continuano a produrlo, allora non ha senso. Bisogna essere tutti concordi nell’attivare le politiche ambientali. Tra l’altro, sono fiera di aver inventato nel 2011 la prima brioche vegana…”.
Ecologia e sostenibilità. Non siamo in ritardo rispetto all’Europa?
“Certo, siamo in ritardo rispetto a paesi che da anni investono in quella direzione, con infrastrutture per la mobilità idonee a dismettere o limitare il ricorso alle auto, cosa che noi non abbiamo fatto”.
Cosa pensa della mobilità?
“Se intendiamo sviluppare una mobilità che abbia un senso nei quaranta quartieri della Città Metropolitana dobbiamo aumentare la curva demografica”.
Ci spiega questo concetto?
“Se risiedo a Falchera, per andare a Torino posso prendere il tram 4. Ma per i piccoli quartieri limitrofi, come Villaretto, con spostamenti molto più limitati, sarebbe insostenibile finanziarli, per i costi esorbitanti. Meglio dotare queste aree di aule studio, centri culturali e sportivi, negozi e presidi medici per mantenere alta la loro vivibilità, evitando che, per accedere a questi servizi, ci si debba spostare in centro”.
Le periferie sono un tema a lei quanto mai caro…
“Molte aree della Città di Torino risultano abbandonate, anche per un certo sentimento di rassegnazione da parte dei cittadini, e questo mi addolora. Abbiamo quaranta quartieri completamente diversi, ognuno con la propria storia. Sono presidente del coordinamento civico, con tutti i comitati di quartiere, e sono orgogliosa di aver contribuito ad attivare nel 2018, mentre lavoravo nella Giunta Appendino, un progetto di marketing territoriale condiviso che ha coinvolto associazioni, parrocchie, circoli e realtà del territorio, capace di mettere in evidenza le particolarità del quartiere sotto l’aspetto storico culturale, enogastronomico, comprese le piole e quei locali dov’è nato il jazz a Torino. Un progetto mirato ai cittadini più che ai turisti, per valorizzare itinerari e tesori dei nostri quartieri a volte ignorati.
Siamo partiti da Borgo Vittoria, che conta 50mila abitanti. Qui, oltre al Santuario di Nostra Signora della Salute, vi è un bellissimo Museo della fantascienza (MUFANT). Siamo passati alle bialere e al poco conosciuto “Museo della scrittura” di quartiere Barca, per poi prendere in considerazione le sette moschee nel quartiere Aurora, con i due templi cinesi. Tutte questi percorsi, pur essendo alquanto periferici, sono stati messi in rete nella guida ufficiale della Città di Torino”.
Non è mai stata attratta dal “vento grillino” che portò l’Appendino a diventare sindaca?
“Non ho mai fatto parte del movimento pentastellato e non ho votato Chiara Appendino (replica con fermezza, ndr). Sono entrata nell’amministrazione pentastellata con un incarico tecnico, un anno dopo la nomina di Appendino, come membro staff dell’assessorato all’Ambiente”.
Cosa pensa dell’Europa?
“Non possiamo paragonarci ai colossi americani. Non abbiamo quella capacità di produzione, ma abbiamo tante aziende importanti dotate insieme di storicità e di una capacità di innovazione assolutamente di qualità rispetto agli altri paesi. Credo che la vera ricchezza dell’Europa sia il suo essere baluardo di valori e diritti, oggi in discussione in tante realtà del mondo in cui si sta cercando di “tagliare le unghie” alla democrazia. Questo da parte di chi ritiene i processi democratici un inutile rituale che allunga solo i tempi, in un mondo, votato all’efficienza, in cui si va imponendo un modello verticistico caratterizzato da un rapporto diretto con gli elettori. Un modello in cui si tenta di eliminare o ridimensionare quei pesi e contrappesi insiti nella democrazia (dibattito parlamentare), visti solo come inutili lungaggini.
Ritengo che, in questa Europa con 27 Stati, le istanze del Piemonte e quelle nazionali non siano adeguatamente rappresentate e servirebbe una maggiore incisività da parte dei nostri rappresentanti, non facendosi soffocare da tutta quella burocrazia.
Un discorso sul quale nel centrodestra non pare vi sia proprio concordia?
“Io non sono in nessuna coalizione, sono una libera pensatrice che appartiene all’area di centro. La mia associazione “L’Italia c’è”, fondata da Gianfranco Librandi, si è affiliata a Forza Italia, che resta di centro”.
Qualcosa sui suoi hobby, i suoi gusti?
“Sono una runner e corro tutti i giorni. E’ la mia salvezza e il mio equilibrio che mi fa riflettere. Inoltre, ho una vera passione per i dolci. Guardo poco la tv, ma seguo con piacere “la Torre di Babele” di Augias, Aldo Cazzullo e Massimo Gramellini. Due su tre, miei conterranei”.
E nel calcio?
“Sono una tifosa granata sfegatata, mi piace soffrire… E, per coincidenza, l’editore del mio libro è Urbano Cairo”.
Cos’è per lei la spiritualità?
“E’ un dialogo con se stessi. Credo che qualcosa esista nell’Aldilà e che la nostra vita non sia fine a se stessa. “Male non fare paura non avere” diceva mia nonna. Sono cattolica. Ho frequentato le scuole salesiane e il modello di fratellanza e il mettere i giovani al centro, insegnamento di Don Bosco, credo abbiamo molto influito sul mio modo di far politica”.
Un pensiero guida in cui si riconosce?
“Il senso della comunità ci salverà”. Ritengo che l’unica cosa che alla fine conti nella vita siano i legami che si è costruito. Come diceva Borges in una bellissima poesia: “Non sai bene se la vita è viaggio, se è sogno, se è attesa, se è un piano che si svolge giorno dopo giorno e non te ne accorgi se non guardando all’indietro. Non sai se ha senso. In certi momenti il senso non conta. Contano i legami”.