Ieri, 17 maggio, in Italia come in altri 129 Paesi del mondo si celebrava la “Giornata internazionale contro l’omobilesbotransfobia”, istituita nel 2004 dalle Nazioni Unite e dall’Unione europea, a 14 anni esatti dalla decisione dell’Organizzazione mondiale della sanità di rimuovere l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali poiché ritenuta finalmente una semplice “variante naturale del comportamento umano”.
Sicuramente da allora sono stati fatti dei passi in avanti, ma la strada da percorrere è ancora molto lunga, basti pensare che a tutt’oggi, in circa 70 Paesi, milioni di persone innocenti sono ancora considerate criminali unicamente per il loro orientamento o identità sessuale e brutalmente punite non soltanto con la galera, ma in certi casi anche con la pena di morte.

In Italia non siamo certamente a questi livelli ma la situazione non già rosea sta diventando sempre più preoccupante dopo l’avvento del governo Meloni con il quale è iniziata una vera e propria persecuzione ai danni della comunità lgbtq+. La guerra al DDL Zan, alle famiglie arcobaleno, alle giovani trans universitarie o in cura presso l’ospedale Careggi di Firenze, unite al sistematico linguaggio discriminatorio e offensivo di tanti esponenti di questa maggioranza, hanno fatto registrare un picco di aggressioni fisiche e verbali senza precedenti, in particolare nei confronti delle persone transessuali, come riportano l’associazione “Arcigay” e il contact center antiomofobia “Gay help line”, ricordando che questi numeri allarmanti (più di 20.000 richieste di aiuto solo nell’ultimo anno) sono sottostimati, giacché i principali alleati dell’odio contro la comunità arcobaleno sono proprio la vergogna e l’omertà.
Non ha destato grande stupore infatti l’impietosa posizione del nostro Paese classificatosi al 36º posto su 49 nella “Raimbow map 2024” pubblicata qualche giorno fa da ILGA-Europe, organizzazione internazionale non governativa che cataloga annualmente Paesi europei e non in base agli sviluppi legislativi e alle politiche per i diritti delle persone LGBTQ+ sulla base di 75 criteri, suddivisi in sette categorie, tra cui uguaglianza e non discriminazione, diritti familiari, crimini d’odio e hate speech, riconoscimento legale del genere, integrità corporea intersessuale, spazio della società civile e diritto di asilo. Da questa è emerso che mentre alcune nazioni come Germania, Islanda, Estonia, Liechtenstein e Grecia, hanno fatto progressi significativi introducendo ad esempio chi il matrimonio ugualitario, chi il diritto all’adozione o l’aumento di pene per i crimini d’odio, l’Italia del governo Meloni, manovrato da associazioni catto-estremiste come ‘Pro vita’, è scivolata addirittura dietro l’Ungheria di Orban, tristemente nota per le sue politiche repressive e persecutorie ispirate al regime putiniano. L’ultimo atto eclatante della crociata medievale portata avanti da questo esecutivo, associato perfino a Mussolini dall’illustre quotidiano britannico Times, si è verificato proprio ieri durante la sopracitata giornata contro l’omobilesbotransfobia. Dopo un accorato discorso del nostro stimato Presidente della Repubblica Mattarella, che ha parlato di “numerosi episodi di omotransfobia” come “lacerazioni alla convivenza democratica” ricordandoci che “non è possibile accettare di rassegnarsi alla brutalità” per poi terminare con un invito alle istituzioni, affinché si impegnino “per una società inclusiva e rispettosa delle identità“, arriva la forzata risposta della premier che con la sua immancabile faccia di bronzo ha avuto il coraggio di dichiararsi “sempre in prima linea nel contrasto a discriminazioni e violenze inaccettabili che ledono la dignità delle persone e sulle quali i riflettori non devono mai spegnersi”. Peccato che la recita ipocrita di Giorgia sia stata smentita nel giro di poche ore, quando da Bruxelles è arrivata la notizia sconcertante della mancata adesione dell’Italia alla “Dichiarazione sui diritti Lgbtq+” (insieme ad altri 7 Paesi fra cui Ungheria, Romania e Bulgaria!), volta a promuovere strategie nazionali per arginare odio, discriminazioni e isolamento sociale. La scusa ufficiale, stando alle parole della ministra della famiglia (solo quella tradizionale ovviamente!) Eugenia Roccella avrebbe a che fare con il rifiuto insindacabile della dottrina “gender”, “negazione dell’identità maschile e femminile, che tante ingiustizie ha già prodotto nel mondo in particolare ai danni delle donne”! Noi tutti saremmo curiosi di sapere quali siano questi gravi danni di cui parla, ma la verità è che questo esecutivo sta semplicemente utilizzando la discriminazione come un vero e proprio programma politico alla stregua degli amici ungheresi, si approfitta di vuoti legislativi per accanirsi su persone indifese sacrificandole come capri espiatori in nome di ideologiche battaglie populiste atte a distrarre l’attenzione dalle colpe della propria incapacità politica. Questo è il modus operandi del governo Meloni, accanirsi regolarmente sui più deboli, sui migranti, sui manifestanti, su intellettuali privati cittadini, su minoranze inermi verso cui è riuscita a sdoganare un linguaggio istituzionale d’odio capace di armare anche frange violente della società e al contempo accontentare gli amici ultra-cattolici che hanno sovvenzionato la sua ascesa.
Durissima la pronta reazione delle opposizioni capeggiate dal Partito Democratico che parla di “rabbia e vergogna” con la segretaria Elly Shlein a cui fanno eco le parole di condanna del deputato Zan nei confronti di “una destra discriminatoria e persecutoria verso i suoi stessi cittadini”.

Oggi a Parma si sta svolgendo il primo Pride dell’anno, un evento più cruciale che mai in questo periodo buio in cui riecheggiano nostalgie di un passato non troppo lontano, e il dovere di noi tutti è quello di partecipare attivamente a queste parate di rivendicazione e protesta, anche e soprattutto se non facciamo parte della comunità lgbtq+, perché il principio basilare di una società civile è che nessuno potrà mai sentirsi libero finché non lo saremo tutti.