Articolo in collaborazione con StartHubItalia.com
36 anni: ai tempi degli antichi romani o di Dante, un’età non lontana dall’aspettativa di vita, oggi l’età a cui un italiano in media diventa padre per la prima volta.
Vero è che le persone giunte in età adulta di norma non morivano comunque prima dei 50 anni e che il tasso di mortalità infantile elevatissimo dell’epoca non può che influire notevolmente sul calcolo dell’aspettativa di vita, ma resta comunque impressionante il divario tra i ritmi della vita di oggi e di ieri. Ci troviamo ormai nell’era del declino demografico europeo (e non solo), i dati lo mostrano chiaramente, e l’Italia è forse il Paese dove questo trend è maggiormente accentuato.
Il dato è di per sé già piuttosto impressionante, ma lo diventa ancora di più se si considera la rapidità con cui questa transizione è avvenuta. Non serve infatti tornare al tempo degli antichi romani o al Medioevo per rintracciare una scansione dei tempi della vita completamente diversa: meno di 30 anni fa, al tramonto del XX secolo, l’età media a cui un maschio italiano diventava genitore era più bassa di ben un decennio, collocandosi intorno ai 25 anni.
Una situazione questa che non può che far riflettere. L’allungamento della vita umana, dovuto agli incredibili traguardi della medicina, sicuramente ha pesantemente influito su questo forte cambiamento di orizzonti, ma non basta a spiegare il fenomeno. Un altro fattore che ha inciso profondamente sulle nostre abitudini e sulla nostra concezione della ripartizione del tempo della nostra vita è la distribuzione della ricchezza tra le classi di età, mai stata così sbilanciata a sfavore delle nuove leve. Se negli anni ’70 un ragazzo italiano tra i 16 e i 30 anni aveva a disposizione in media oltre il 76% del denaro a disposizione di un cittadino medio, oggi deve cavarsela con poco più del 55%; una differenza non da poco. I figli, in una società post-industriale come la nostra, rappresentano almeno per i loro primi 20 anni di vita un costo non banale da sostenere in termini economici e la maggior parte degli under 30 semplicemente non può più permettersi, con poco più della metà di quanto ha a disposizione un 40enne medio, di crescerne ed accudirne uno in maniera decorosa.
La soluzione è presto detta. Ai figli troppo spesso, in uno scenario demografico già di per sé sfavorevole, si rinuncia. O quantomeno li si posticipa, in attesa di tempi migliori.
Ma nemmeno questa spiegazione può bastare a spiegare del tutto il fenomeno. In fondo il denaro che i 20enni non hanno a disposizione si trova spesso nelle tasche dei genitori o dei nonni, che difficilmente si rifiuteranno di dare una mano ad accudire il nipotino (non è un caso che quello familiare sia da molti considerato la prima forma di welfare in Italia). A guidare questo mutamento di prospettive è anche l’idea che i figli siano una zavorra per una vita che deve essere vissuta come un’opera d’arte e che dunque prima di metterne uno o più al mondo sia necessario “godersi la vita” il più possibile, tra viaggi ed altre esperienze e coccole che difficilmente potranno essere vissute con un figlio a carico, men che meno se i soldi a disposizione non sono molti, rendendo necessarie delle scelte.
Di per sé il dato potrebbe anche non apparire come particolarmente preoccupante: se l’età media si è alzata di oltre 20 anni nell’ultimo secolo, non dovrebbe essere un guaio dare alla luce la propria prole con 10 anni di ritardo. Ma un problema invece si pone. La fertilità maschile, nonostante la vulgata voglia l’uomo sempre fertile nonostante l’età, in realtà inizia a declinare già a partire dai 30 anni, rendendo più difficile il concepimento e più probabile la nascita di un figlio con problemi di salute. Senza considerare che la quantità di energie varia non poco tra un 20enne e un 30enne, rendendo ulteriormente più difficile accudire un figlio o più superata una certa età.
Il problema è evidentemente prima di tutto culturale. In un mondo rurale e arretrato come quello precedente alla Rivoluzione Industriale fare figli è una necessità: la carenza di ogni tipo di welfare di Stato rende necessario un “bastone della vecchiaia”, meglio ancora se più di uno. I figli sono un asset: se per i primi 5 anni saranno per lo più un costo, in seguito aiuteranno a sgravare sempre più i genitori di parte del loro lavoro. Un giorno saranno necessariamente loro a prendersi cura di mamma e papà. Oggi invece anche chi non ha figli invece può sperare giustamente in un aiuto per vivere una vecchiaia serena. Un ribaltamento di prospettive non da poco che ha necessariamente portato delle conseguenze, le quali a loro volta influiscono non poco sul modo che abbiamo di percepire e vivere la nostra vita.