Articolo di
Moreno D’Angelo
Ci sono luoghi in cui l’opposizione può assicurarsi barlumi di visibilità solo quando appare davanti ai giudici. La cosa è possibile quando si tratta di personaggi di rilievo mediatico come nel caso di Oleg Orlov, il cofondatore dell’antica ONG pacifista Memorial (attiva dai tempi di Sacharov e dell’Urss). Un’organizzazione che, dopo aver ottenuto un Premio Nobel, è stata liquidata da Putin, poco prima dell’inizio dell’operazione speciale in Ucraina.
Una missione militare che, nei primi propositi, sarebbe dovuta durare pochi giorni, per sistemare al governo di Kiev personaggi amici (come ricordava Berlusconi) e per eliminare i pericolosi nazisti ucraini. Invece la guerra, speciale solo per distruzioni e massacri, perdura da oltre due anni, con un bagno di sangue incredibile di giovani e un paese distrutto: l’Ucraina.
Una vicenda quanto mai complessa per risvolti storici che vanno alle origini della Russia.
In questo paese (ma l’Ungheria è sulla buona strada) oggi è normale che un uomo di 70 anni, non un terrorista, ma un pacifista e un dissidente della prima ora sui diritti umani, premiato con un Nobel per la Pace, venga condotto al processo ammanettato tra nugoli di polizia in assetto antisommossa a volto coperto, con tanto di cani al seguito.
Il suo crimine è aver scritto un testo (pubblicato fuori dalla Russia) in cui prendeva posizione contro la guerra in Ucraina. Il tenace Orlov non è fuggito dal suo Paese, continuando con le sue critiche anche dopo il 24 febbraio 2022. Per il reato, per il quale prima era stato multato, è stato riaperto il processo, con una rapida condanna a due anni e mezzo di carcere per “discredito delle forze armate”.
La condanna si è avuta nello stesso giorno in cui l’oppositore Alexei Navalny è morto a 47 anni in un carcere in Siberia, nei pressi del Circolo Polare Artico, a 2.000 km da Mosca.
Il discredito internazionale per questa morte ha dato il via ad un moto di proteste, emerso oltre ogni aspettativa, con tanti coraggiosi che hanno sfidato i divieti di assembramenti (anche quello di porre dei fiori…) per partecipare a manifestazioni in memoria del tenace oppositore russo che non ha mai smesso di sfidare il nuovo Zar.
Le persone che hanno manifestato il loro dissenso potranno essere oggetto di visite e controlli, e chissà cos’altro, da parte degli apparati di sicurezza. Queste manifestazioni rappresentano un chiaro segno che un’altra Russia esiste.
La cosa si è ripetuta nel processo-Orlov. Nel corso dell’udienza in cui è stato condannato, il noto pacifista non ha fatto proclami. Anche su di lui non poteva mancare l’accusa di essere al servizio di potenze straniere. Una persona che, pur ben sapendo il clima e i rischi riservati a chi si oppone, ha rinunciato a trasferirsi all’estero. La sua protesta si è espressa nel leggere brani di un racconto di Franz Kafka sui deliri del regime sovietico.
Il processo-Orlov è stato accompagnato dal saluto e dall’incoraggiamento di diversi pacifisti e la cosa sì è ripetuta, come detto, per il funerale di Navalny, con tanti coraggiosi che non si sono fatti intimidire, nonostante un apparato repressivo che, per quanto sordo ad ogni critica, deve tenere in qualche modo conto del discredito dei media internazionali, come confermato dagli sviluppi del caso-Navalny.
In ogni caso, in Russia non si era mai visto un Premio Nobel di 70 anni sbattuto in galera per uno scritto. Un segnale chiaro: qui non ci sono margini di dissenso. Non è consentito il minimo cenno critico verso un potere iper accentrato, in cui chi osa contrastare il “Cerchio Magico”, anche se ricco e potente, rischia molto.
Una realtà in cui il cittadino non ha nessuna possibilità di avere un quadro chiaro della situazione anche della guerra (certo, ovunque le tragedie belliche raramente si sposano con l’obiettività dell’informazione locale). Ma ora che i morti continuano a pesare sempre più su tante famiglie, la difesa delle sacre terre russe potrebbe incontrare qualche, finora, impensabile scricchiolio.
Sono segnali di una piccola minoranza che sogna pace, dialogo e tolleranza, contro un’omologazione sociale assoluta che non tollera il dissenso.
Un quadro confermato, ce ne fosse bisogno, dal fermo. a fine febbraio 2024, del Direttore di “Novaya Gazeta”, Serghei Sokolov, accusato come Orlov di “discredito” delle forze armate. Si tratta di una testata indipendente russa, ora al bando, che dovette chiudere nel 2022 dopo le dimissioni del Premio Nobel per la Pace Dmitry Muratov, anche lui colpito dalla consueta accusa di essere una spia dell’Occidente.
I suoi tenaci redattori sono stati costretti a trasferirsi all’estero, dove hanno fondato “Novaya Gazeta” Europa.
In conclusione, venendo in Italia, segnaliamo come abbia fatto amaramente sorridere la grande fiducia sugli esiti dei controlli medici e le verifiche dell’apparato poliziesco manifestata dal nostro Matteo Salvini per il caso-Navalny. Un leader leghista sempre più in difficoltà, come confermato dai risultati delle elezioni in Sardegna e dalle sempre più forti insofferenze nel suo stesso partito.