L’indignazione per la tragica vicenda di Alexei Navalny ha unito il coro degli antiputiniani. Ma quanti di questi lo eranom in precedenza?
I metodi putiniani, ex Kgb, erano ben noti e in voga da tempo, in una Russia dove l’assoluto controllo dei media ha bloccato ogni opposizione.
Gli oligarchi polemici o infedeli al sistema sono stati sistematicamente eliminati (anche all’estero) o condannati da un apparato giudiziario completamente dipendente dai vertici politici. Un metodo che ha rappresentato più di un monito per la classe dei nuovi ricchi (del dopo-Eltsin) che tanto amano la Costa Azzurra e l’odiata Albione per le loro ville e per ormeggiare i loro panfili.
Le operazioni “tacitative” al veleno e una generale repressione di ogni dissenso non hanno scalfito, ma anzi esaltato, il consenso del nuovo Zar.
Che la Lega di Salvini, ammiratrice di Putin, e i movimenti di europei di estrema destra fossero oggetto di “attenzione” da parte del sistema russo è cosa ben nota. Attenzione e forse non solo, attuata tramite un raffinato e ampio sistema d’intervento grazie al ricorso ai canali Telegram (fake news generator) e giornali, puntando anche sul variegato universo complottista. Un universo non di destra molto sensibile alle tematiche cospirative. Obiettivo: la matrigna Europa, banche e banchieri e poteri forti (come se in Russia non esistessero) e anche l’eretico Papa Francesco.
Un modello che ha posto Putin come autorevole alfiere della difesa dei valori della tradizione, di fronte al pericolo rappresentato dalle odiose nefandezze della lobby gay, con sfumature nemmeno troppo velate antiebraiche, che sarebbero quanto mai forti tra i vertici europei e tra i democratici americani, dove si nasconderebbero pericolose sette di illuminati che tanto piacciono al jet set occidentale.
Un discorso che sposa metodologie ordinarie del mondo trumpiano, con il quale Putin trova grandi affinità. Un discorso che si riconosce nelle posizioni ultraconservatrici della Chiesa ortodossa russa, guidata del miliardario primate Kyrill. Anche se è corretto sottolineare come le iniziative della diplomazia vaticana, con il dialogo riattivato con la Chiesa ortodossa, rappresentino la più avanzata forma propositiva che pone basi per mettere fine ad un conflitto senza fine che sta causando migliaia di giovani morti da entrambe le parti.
In Occidente, in molti ambienti della destra (che da sempre ammira l’uomo forte al comando) e negli entourage complottisti, sono tanti persuasi dal fatto che solo la Russia di Putin ci potrà difendere da derive chiamate transumanesimo, dai chip sottopelle di un futuro iper-controllato (come se a Mosca fosse la patria del libero pensiero) che negherà ogni futuro alla tradizione occidentale, aprendo ad un immigrazione incontrollata.
L’esempio italiano più eclatante è quello di una donna politicamente astuta come Giorgia Meloni.
Fino a poco tempo fa le sue posizioni “Dio, Patria e Famiglia” trovavano comunanza con gli antiabortisti iper-reazionari dei franchisti di Vox, che vedevano in modo fraterno l’assolutismo putiniano. Nonostante il grande e sorprendente consenso ottenuto, la leader della destra italiana, divenuta Presidente del Consiglio, non pareva certo ben vista dai vertici politici europei (il termine “underdog” si è sprecato). Ma il suo diventare pienamente atlantista, la più fedele agli Usa in Europa, ha spiazzato e sparigliato i giochi, facendo si che la Meloni entrasse nelle grazie dei leader della comunità europea. Un fenomeno che apre nuovi scenari per una svolta della politica europea che vedrebbe la Meloni ipotetico asse di un centro conservatore.
Certo la famiglia della destra estrema e xenofoba tedesca, olandese, spagnola non lascia molti margini alle moderazioni, mentre risulta molto vicina al guardiano della tradizione di Mosca, a cui i nazi di nuova generazione, a quanto pare, non disturbano affatto…
Questo nonostante, in patria, la Meloni debba quotidianamente fare i conti con frange e espressioni della sua area che restano di fatto nostalgiche, privilegiando un circolo di fedelissimi che non sembra proprio il massimo per gestire ruoli importanti in un paese come l’Italia.
Il circondarsi di parenti e fedelissimi, più che da persone preparate, è un classico dei poteri accentrati, per non parlare delle autocrazie.
Le economie e le relazioni tra Europa e Russia ne fanno due realtà complementari, strettamente legate, con business importanti, in nome dei quali si è chiuso un occhio e anche due sulle quotidiane malefatte di un regime di fatto assolutistico.
Che dire del lettone di Berlusconi e dei suoi abbracci davanti alle dacie?
Business is business, ma in realtà, la realpolitik non può tacere di fronte alla cancellazione dei più elementari diritti umani, riscontrabili solo grazie alla presenza di un barlume di opposizione. Navalny non sarà stato certo un santo, ma ha rappresentato il punto di riferimento di quell’opposizione a Putin, non solo politica, in grado di denunciare e far conoscere anche all’estero, eccessi, deliri, crimini e affari della cricca di potere insediata a Mosca. Un’ostinazione pagata con la vita e con la repressione anche di chi voleva solo posare un fiore in sua memoria.
I media russi hanno snobbato la morte nel carcere siberiano del tenace oppositore, tornato in patria dalla Germania, dove era stato curato da un avvelenamento, e finito in carcere con condanne pesantissime imposte dall’alto.
Il caso Navalny non ha scalfito il consenso di Putin, mentre registra qualche segnale di indifferenza da parte di persone che non reggono più la mattanza di giovani per la guerra in Ucraina.
Certo a livello popolare il leader resta forte. Un leader che sfida il mondo, che schiaccia la Cecenia facendo piazza pulita senza pietà, che sistema la Siria con ogni mezzo e che invade l’Ucraina, piallando una città piena di vita e arte come Mariupol (ora in ricostruzione) per dar corso alla sua “operazione speciale”, avviata come un esercitazione, che avrebbe dovuto eliminare i nazisti ucraini “con l’obiettivo di mettere a Kiev delle brave persone simpatiche al Cremlino”, aveva sostenuto, simpaticamente, lo scomparso Berlusconi.
Tutti approcci imperialisti che hanno dovuto fare i conti con la volontà di un popolo ucraino che non voleva far la fine dei “normalizzati” di bielorussi.
Per ora la guerra l’ha vinta Putin.
E’ riuscito a mantenere il consenso. Ha una rete di supporto ben oltre Iran e Corea del Nord, riavvicinandosi anche all’Azerbajan, per il quale ha abbandonando al suo destino un’Armenia sempre più europeista, creando una rete di appoggio grazie ai rapporti con partiti della destra in vari stati europei. Vi sono i forti affari con la Cina, acquirente di petrolio russo e, infine, vi sono i Brics, che vedono Mosca vantare ottimi rapporti con paesi emergenti come Brasile, Sudafrica e Egitto, per non parlare dell’Ungheria di Orban.
Le dittature possono nascondere i disagi sociali e parlare di vittorie sul fronte. Possono non dar conto di migliaia di giovani morti che si lanciano a frotte sul nemico come negli assalti alla baionetta della Prima Guerra Mondiale. Resta il fatto che il mondo delle fake news ha molto agevolato il consenso verso il nuovo Zar, al quale basta aspettare che la nuvola-Navalny passi, sommersa da tante altre vicende, come quella meno eclatante del suo cuoco, diventato il temibile comandante mercenario Yevgheni Prigozhin, eliminato appena provò a contrastare il potere dello Zar, con una pericolosa apertura ai media occidentali.