Articolo di
Igor Boni – Radicali
Il Piemonte è la regione d’Europa che consuma il maggior quantitativo d’acqua. Un non invidiabile record che, in questi ultimi anni di siccità, mette a rischio interi settori produttivi, a partire dall’agricoltura, che è il principale utilizzatore della risorsa idrica.
Siamo a febbraio e il Presidente della Regione Piemonte, Cirio, chiede lo stato di calamità per la carenza d’acqua nella nostra regione. Peccato che Cirio e la sua maggioranza siano gli stessi che non hanno fatto nulla di concreto per modificare le politiche di gestione delle acque, che continuano a basarsi su schemi e tecnologie del secolo scorso, in una realtà completamente cambiata.
Malgrado le continue sollecitazioni che abbiamo messo sul tavolo pubblicamente, non siamo nemmeno riusciti a ottenere risposta a una nostra petizione popolare urgente, che offriva alla Regione proposte concrete di riforma, che sono imprescindibili in un’ottica di cambiamento climatico, con temperature che inesorabilmente continuano ad alzarsi, e una distribuzione sempre più difforme delle precipitazioni.
L’agricoltura è il settore dove concentrare gli sforzi. Mentre nella scorsa programmazione dei fondi europei non si è colpevolmente fatto nulla in termini di risparmio idrico, da quest’anno, subito, occorre incentivare l’introduzione di sistemi di irrigazione innovativi, che vengono da decenni ormai utilizzati altrove: irrigazione a goccia (dove possibile), irrigazione cosiddetta “a pivot” o a pioggia, fertirrigazione localizzata, in sostituzione della pratica dello “scorrimento superficiale”, enormemente più dispendiosa.
L’irrigazione per gocciolamento – utilizzata in Israele già da oltre mezzo secolo – consente un risparmio idrico valutabile tra il 30 ed il 60% rispetto alla classica irrigazione per scorrimento superficiale, che è di gran lunga la più diffusa in Piemonte.
Qualcuno dirà che in molti settori si sta già facendo e io rispondo che dobbiamo decuplicare gli sforzi per incidere sui quantitativi in modo consistente.
Dobbiamo poi abbattere un tabù, se vogliamo andare incontro a carenze strutturali a cui non siamo stati abituati. Serve convertire gradualmente, ma velocemente, parte del territorio, quello con i suoli meno adatti, dalla coltivazione del riso in sommersione verso il riso in asciutta o ad altra coltura meno impattante. Occorre irrigare a goccia il mais o convertire la coltura del mais con altre meno idroesigenti.
La politica agraria regionale deve aiutare e indirizzare gli agricoltori a utilizzare le colture a maggior “impatto idrico”, come riso e mais, solo sui terreni più adatti (quelli che, avendo una buona capacità di immagazzinamento idrico, consentono adeguate produzioni senza l’immissione di quantitativi enormi di acqua).
Ultimo, ma non ultimo, serve consapevolezza dei cittadini di una realtà di scarsa disponibilità idrica alla quale non siamo abituati. Per questo da anni proponiamo che vengano attuate a tutti i livelli campagne incisive di informazione volte a modificare radicalmente i comportamenti, per ottenere la riduzione dei consumi e, soprattutto, una piena conoscenza della situazione in cui versano le riserve idriche del territorio in cui viviamo.
La prossima pioggia porterà di nuovo nel dimenticatoio questo problema?
Ce lo ritroveremo addosso tra qualche mese e con maggiore forza e, anno dopo anno, saremmo costretti a cambiamenti repentini e dolorosi. A questo serve – o dovrebbe servire – un governo della Regione: a prevedere, a riformare, a gestire il cambiamento necessario.