“A più di un anno dalla morte di Mahsa Amini non è cambiato molto, per le donne iraniane, forse la situazione è addirittura peggiorata: il regime degli ayatollah è sempre più forte, riconosciuto e sostenuto”.
Le parole sono di Pegah Moshir Pour, attivista iraniana cresciuta in Italia, che si batte per i diritti delle donne iraniane.
Parole pronunciate dal palco del Teatro Franco Parenti di Milano, durante “Donna, Vita, Libertà”, panel del “Linkiesta Festival 2023“, la scorsa settimana, al fianco dell’attivista iraniana Rayhane Tabrizi, intervistata dal direttore de “Linkiesta” Christian Rocca.

Il Festival di Linkiesta si è è occupato della situazione in Iran.
Il Festival di Linkiesta si è è occupato della situazione in Iran.

“C’è una generale incapacità a livello mondiale nel capire e conoscere queste dittature: sono 44 anni che il regime iraniano si è radicato nel silenzio generale della comunità internazionale”, dice ancora Pegah Moshir Pour.
“Se da una parte condanniamo i legami dell’Iran sul piano internazionale, dall’altro è fin troppo facile travisare gli obblighi dovuti alle sanzioni e notare come molti governi si comportino come se questo non fosse un regime criminale. Mi dispiace dire che anche l’Italia continua a fare affari con l’Iran, e non vale come giustificazione dire che come Paese c’è bisogno di quei soldi, degli idrocarburi iraniani o cos’altro”.
Quel che dice Pegah si riconosce in una generale apatia della comunità internazionale, che diventa una sorta di connivenza nel guardare le azioni criminali dell’Iran, che a gennaio entrerà anche nel club dei Paesi BRICS, e rimanere sostanzialmente indifferenti.
“In un mondo in cui le ricchezze sono in mano a pochi, il potere è in mano a pochi, noi possiamo cambiare il presente e il futuro solo tagliando i rapporti con questi regimi, dicendo la verità, svegliandoci e condannando tutte le dittature che reprimono e restringono le libertà personali”, spiega, pesando ogni parola, Pegah Moshir Pour.
Oltre un anno dopo, avvenuta il 16 settembre 2022, la morte di Mahsa Amini è ancora viva nella memoria, ma esattamente come accade con la stanchezza percepita rispetto alla guerra in Ucraina, è molto facile che l’opinione pubblica finisca con l’accantonare certi pensieri, certi sentimenti, e quindi anche per relegare queste storie in un angolo della memoria, in un cono d’ombra che le fa sbiadire.
“Fare attività contro il regime, nel mondo libero occidentale, a partire dall’Italia, è una richiesta minima”, dice l’attivista Rayhane Tabrizi.
“L’anno scorso le nostre battaglie speravano di avere un supporto globale, universale, perché quello che fa la dittatura iraniana da 44 anni è contrario a tutti i diritti umani. Solo che il supporto non è stato così diffuso, così profondo e così forte come avremmo voluto. Anzi, dal 7 ottobre, cioè dopo l’attentato terroristico di Hamas in Israele, andrebbe ancora rafforzato. Perché quell’evento ci ricorda che il regime degli ayatollah dimostra molto chiaramente la centralità e il vero volto del regime e il suo sostegno a tutti i gruppi terroristici, come Hamas e Hezbollah”.
Rayhane Tabrizi racconta anche un aneddoto significativo che aiuta a spiegare quanto l’Iran sia un hub e uno snodo centrale per tutti i gruppi terroristici. “Noi siamo stati spesso a Beirut e viaggiato da lì per volare in Iran. E in tutti i voli per il Libano c’erano agenti di Hezbollah, passeggeri che salivano senza riconoscimenti dei documenti, senza controlli di alcun tipo, e arrivavano in Iran”.
Tutto il mondo in questo momento ha il dovere di sostenere la battaglia “Donna, Vita, Libertà”. Soprattutto per gli iraniani fuggiti dal loro Paese.
“Le parole sono belle, ma non supportano a sufficienza gli iraniani che hanno trovato rifugio in Italia, è difficile rinnovare i permessi di soggiorno ed è complesso anche aprire un conto corrente in certe banche”, spiega Rayhane Tabrizi.
“È necessario fermare i finanziamenti dell’Iran ai terroristi”.
La repubblica islamica dell’Iran ha intenzione di mantenere il controllo su tutto il Medio Oriente e non solo. In questi giorni si parla molto di come l’Iran abbia un ruolo per nulla marginale nella guerra in Ucraina, foraggiando l’esercito del Cremlino con i suoi moderni droni Shahed.
Una centralità che si ritrova anche nel conflitto israelo-palestinese, nel sostegno a Hamas.
“La nostra vittoria sarà un evento molto raro nella storia umana. Noi vogliamo dimostrare che bisogna alzarsi e lavorare per rimuovere questo cancro che è il regime di Khamenei. Ricordiamo che tra i nuovi metodi per vessare le donne, c’è l’aumento degli arresti per attiviste e attivisti e la crescita della cauzione per essere liberati. Due vantaggi in un colpo solo per il governo, perché oltre ai soldi, ottiene il silenzio dei protagonisti, previsto dalla legge”, aggiunge Rayhane Tabrizi.
In Occidente ci sono state diverse manifestazioni a sostegno degli attivisti iraniani, e loro hanno accolto l’appoggio internazionale.
“Il fatto che in molti Paesi ci sia il sostegno si percepisce, si vede e si sente. Perché con i social i messaggi arrivano”, dice ancora Pegah. “Ma sanno anche che non se ne parla più come prima: questa battaglia è passata da una questione della quotidianità, di cui si parlava tutti i giorni, a un argomento più marginale”. Lo testimonia il fatto che nei prossimi giorni ci saranno le premiazioni del Premio Nobel per la Pace – che sarà consegnato all’attivista iraniana per i diritti delle donne Narges Mohammadi – e del Premio Sakharov – che andrà simbolicamente a Mahsa Amini, e al movimento Donna, Vita, Libertà –, ma non è al centro del dibattito. Di sicuro non è abbastanza. E non lo sarà fin quando il regime degli ayatollah non cadrà.