L’ondata emotiva e mediatica ci ha travolti. Ormai da giorni e giorni, telegiornali, trasmissioni tv, giornali e social non fanno altro che parlare e discutere del caso di Giulia e Filippo, i due giovani fidanzati veneti, poi diventati ex, poi diventati ben altro: lei una vittima innocente, lui un assassino spietato e calcolatore.
Troppe, però, le parole attorno a questo dolore.
Troppe, da parte degli stessi familiari.
Personalmente, mi infastidisce sentire la sorella della povera Giulia pontificare contro tutti gli uomini e contro la “cultura del patriarcato” e dire “bisogna bruciare tutto”. Ma tutto cosa?
Mi infastidiscono anche tutte le interviste rilasciate dal padre di Giulia e dal padre di Filippo, il killer, per il quale, in fin dei conti, “la vita continua”.
Per lui, per il figlio assassino, ma non per Giulia.
Ma, sicuramente, sono parole dettate dal dolore e dalla disperazione.
Mi infastidisce questa ennesima spettacolarizzazione del dolore: 20 anni dopo Cogne e la Franzoni è persino peggio.
Qualcuno mi ha chiesto: “Perché dovrebbero tacere? Le donne tacciono da troppo tempo e questo è il risultato”.
Non sono convinto che sbraitare sia una valida alternativa. Forse lo saranno i corsi di “affettività” ed “educazione sentimentale” proposti nelle scuole, chissà, sicuramente conterà di più la certezza della pena, appena verrà finalmente varata una legge molto più dura di quella attuale sullo stalking, con condanne severissime già alle prime minacce da parte di ex mariti, ex conviventi, ex fidanzati.
Casi singoli, tantissimi certo, ma senza tirare fuori per forza la storia del patriarcato e di tutti gli “uomini cattivi”.
Troppo rumore, troppe parole.
Ma forse è nella nostra natura di essere umani volerci “sfogare” e non tenerci tutto dentro.
Eppure vorrei che fossimo tutti come i genitori di Yara Gambirasio: ve li ricordate? Una conferenza stampa, una volta, e poi basta.
Fine delle inutili parole. Silenzio. Il silenzio del dolore.
Con grande dignità.
Qualcuno mi ha chiesto: “E se fosse successo a tua figlia, che avresti fatto”?
Silenzio. Il silenzio del dolore.
Almeno credo.
Spero di non scoprirlo mai.