Cattiva, egoista, dispotica, perversa, sprovveduta, superficiale, sono solo alcune delle tante, pretestuose colpe attribuite dalla vergognosa propaganda rivoluzionaria all’ultima leggendaria Regina di Francia, Maria Antonietta D’Asburgo Lorena, la cui memoria è stata poi disonorata per più di un secolo attraverso dicerie e racconti tanto indecenti quanto surreali. Come vi ho già raccontato nell’articolo del 16 ottobre 2021, in realtà questa sfortunata principessa austriaca aveva un animo generoso, sensibile e insicuro, minato da una solitudine costante che l’aveva vista arrivare ancora bambina in una terra straniera come pedina politica, privata di tutti gli affetti più cari, promessa sposa di uno sconosciuto goffo e introverso erede al trono della monarchia più antica e prestigiosa d’Europa, soffocata dall’etichetta implacabile della spietata corte di Versailles dove per tutti non tardò a diventare l’invisa “autrichienne”. La vecchia aristocrazia non le perdonò mai il suo bisogno incessante di libertà e riservatezza che la induceva a continue fughe dal Palazzo e dai suoi doveri regali, ora nelle feste più sfarzose della capitale, ora nel suo amato “Petit Trianon” in compagnia di pochi eletti, e quando l’ingenua capricciosa fanciulla di un tempo lasciò il posto alla donna più matura e riflessiva che era diventata con la maternità, per Maria Antonietta era già troppo tardi, la corte le aveva ormai giurato guerra a oltranza. Quando il 5 ottobre 1789 la folla inferocita invase Versailles e obbligò la famiglia reale a trasferirsi a Parigi, rendendola de facto prigioniera, la Regina si rese conto per la prima volta della gravità della crisi in cui versava quella monarchia che aveva sempre saputo sacra e inviolabile ma, a differenza del marito, rassegnato ad affrontare un destino già scritto con la solita nefasta passività, ella riuscì a trovare dentro sé una forza e un coraggio a lei stessa sconosciuti, una dimensione “involontariamente eroica”, per dirla con le parole di Zweig, che emerge in tutta la sua combattiva lucidità in questa preziosissima corrispondenza intrattenuta negli ultimi terribili anni della prigionia con l’unica persona che le rimase fedele e devota fino alla fine dei suoi giorni, il grande amore della sua vita Hans Axel von Fersen.
Il loro fu un vero e proprio colpo di fulmine a prima vista. Era la notte del 30 gennaio 1774 quando, entrambi diciottenni, si incontrarono casualmente a un ballo in maschera dell’Opéra a cui l’allora Delfina si era recata in incognito. Fu proprio lei a prendere l’iniziativa sopraffatta dalla bellezza di quell’aitante sconosciuto alto più di un metro e novanta e a civettare con lui prima di fuggire via come una novella Cenerentola perché riconosciuta pubblicamente. Otto mesi dopo, il conte Hans Axel von Fersen, figlio di un influente feldmaresciallo alle dipendenze di Gustavo lll di Svezia, faceva già parte del ristretto “cercle de la Reine” a Versailles per poi essere nominato colonnello comandante del prestigioso reggimento Reale Svedese, unità militare straniera al servizio della Francia. A nulla valsero i continui richiami in patria del genitore, né le ottime profferte matrimoniali ricevute, il bel conte decise di non sposarsi mai e di restare al fianco della sua regale anima gemella fino all’ultimo dei suoi giorni, così come confidava in una lettera del 31 luglio 1783 all’amata sorella Sophie: “Non posso appartenere alla sola persona alla quale voglio appartenere, quella che mi ama davvero; perciò non voglio appartenere a nessuna”. Allo scoppio della rivoluzione Fersen fu infatti l’unico tra gli intimi della sovrana (scappati oltre i confini nazionali alle prime avvisaglie) a restarle accanto trasferendosi in incognito a Parigi e fu proprio lui a organizzare nei minimi dettagli il celebre tentativo di evasione della famiglia reale che si concluse miseramente a Varennes il 22 giugno 1791 con l’arresto dei fuggitivi e la loro definitiva detenzione. Da qual momento i due amanti si rividero soltanto un’ultima volta, il 13 febbraio 1792, quando il conte riuscì ad intrufolarsi eroicamente negli appartamenti delle Tuileries in cui Maria era ormai sorvegliata a vista, ma in quegli ultimi terribili anni precedenti al martirio della sventurata Regina, la loro corrispondenza epistolare si intensificò e in questo preziosissimo volume sono state pubblicate le circa settanta lettere e memorie inedite rimaste segrete per decenni in Svezia presso i discendenti dei nipoti di Fersen e acquistate dalla Francia soltanto nel 1982.
Dopo un difficilissimo lavoro durato più di tre anni, l’equipe parigina della sezione privata degli archivi nazionali guidata dalla responsabile Isabelle Aristide-Hastir è riuscita ad aggirare tutti gli astuti stratagemmi di depistaggio (alfabeti in codice, inchiostri invisibili, miniaturizzazione della grafia, ecc) utilizzati dai due cauti amanti timorosi di essere intercettati, consegnandoci pagine di immenso valore storico e sopratutto la prova definitiva della fondatezza di una delle storie d’amore più romantiche e tormentate di tutti i tempi. In realtà, seppur in quegli anni tutti sapessero e sparlassero di questa scandalosa “liason dangereuse”, tanto che anche gli amici più fedeli della corona davano per scontata la voce generale che attribuiva al bel colonnello svedese la paternità del secondo Delfino, per lunghi decenni la storiografia filo-monarchica non ha potuto far altro che sostenere a oltranza la natura platonica del loro sentimento per salvaguardare il buon nome di sua Maestà e dei suoi discendenti; ma questa tesi, già ampiamente screditata dalla lettura dei diari di Fersen, in cui si fa più volte riferimento a serate trascorse “da Lei” , adesso è ufficialmente smentita dalla protagonista stessa: «Sapevamo che Maria Antonietta e Fersen si amavano – ha dichiarato l’autrice in occasione dell’uscita francese del volume – ma non ne avevamo prova concreta. È la prima volta che lo vediamo scritto dalla mano della Regina, basti leggere ad esempio la lettera datata 4 gennaio 1792 indirizzato al suo amante: «Non posso concludere senza dirvi, mio caro e tenero amico, che vi amo alla follia e che mai, mai, posso stare un momento senza adorarvi». Il 13 agosto 1792 Maria Antonietta viene trasferita nella prigione del Tempio e da allora non le sarà neanche più concesso inviare o ricevere lettere fino al giorno del suo eroico martirio. Il dolore straziante di non poter mai più vedere o sentire l’amore della sua vita è tutto racchiuso nell’ultimo struggente lacerto di biglietto arrivato a Fersen soltanto nel 1795 attraverso l’amica comune Madame de Korff recante la scritta “Addio, il mio cuore appartiene a voi”. Il 16 ottobre 1793 Maria Antonietta viene pubblicamente ghigliottinata in Place de la Concorde; il suo Axel lo scoprirà solamente il 20 ottobre mentre è in fuga a Bruxelles e ancora a distanza di tanti anni, prima di essere brutalmente assassinato a sua volta nel 1810, confidava alla devota sorella Sophie tutto il suo insanabile dolore: «Colei per la quale vivevo, poiché non ho mai smesso di amarla, colei che amavo così tanto, per la quale avrei dato mille vite, non c’è più. Oh, mio Dio! Perché distruggermi così, cosa ho fatto per meritare la Tua ira? Lei non c’è più. Sono in un’agonia di dolore e non so come faccia a sopportare la mia sofferenza. È tanto profonda e nulla la cancellerà mai. Lei sarà sempre presente nella mia memoria e non smetterò mai di rimpiangerla.»