Anche adesso, se provo a guardare indietro, vedo le mie dita di bambino
accarezzare quelle favolose pagine fruscianti, che la colla riesce a far
lievitare come una bizzarra fisarmonica.
1961-62, raccolta di figurine Panini: espressioni stralunate stampate sulla carta spessa, improbabili tinte a verniciare le maglie, zigomi di trentenni che sembrano cinquantenni di oggi.
È il mio approccio visivo con il calcio, il più antico ricordo
consapevole di una passione travolgente, destinata a sfidare l’usura del
tempo, e a resistere alle burrasche.
L’udito, invece, si accosta allo sport grazie a un altro genere di
intermediario, e trova nella sontuosa radio-armadio del salotto la sua
tentazione irresistibile.
10 gennaio 1960, data di nascita di “Tutto il calcio minuto per minuto“: le voci di Carosio, e poi Martellini, e poi Ameri, e poi Ciotti hanno sostituito il suono di ninne-nanna e carillon.
Finito il rito di “Carosello“, noi bambini di allora andiamo tutti a letto, pronti ad allearci con l’immaginazione, se una partita in TV è troppo tardi per essere seguita con i genitori.
Già a 7 anni, decifrando i boati della folla filtrati attraverso le pareti
della mia stanza, ricostruisco la sequenza di gol di Benfica-Real Madrid, finale di Coppa dei Campioni: 5-3.
La sintesi fra i due grandi amori che sbocciano, il calcio e l’informazione,
arriva sotto forma di registratore a bobine, uno dei mitici “Geloso” regalatomi forse a Natale.
Mi chiudo in bagno, impugno il microfono, e incido radiocronache di
incontri virtuali, come i 45 minuti di fila di un avvincente Milan-Modena,
che in realtà non si è mai giocato.
D’estate, invece, aspetto le gare di biglie degli amici sulla spiaggia di
Alassio, e comincio a parlare senza soste, seguendo Merckx e Gimondi, Adorni e Motta sulle nostre Dolomiti di sabbia.
Inoltre ricorro alle radiotrasmittenti, mi piazzo davanti al televisore in
occasione di avvenimenti agonistici importanti, e fornisco ai coetanei un
commento alternativo.
La domenica, allo Stadio Comunale della mia città, il babbo mi porta a vedere la Juventus, e lo zio il Torino, alimentando una febbre per lo sport
più forte delle ragioni del tifo.
Alla fine scelgo una squadra, ma l’altra resta nel cuore, tanto che poi,
quando diventerà il giornalismo la principale occupazione, tornerà a galla
il supremo equilibrio dei sentimenti.
Sono felice che sia così, anche se la gente rimane delusa quando parlo del
gusto per l’imparzialità, perché credo che sostenere il calcio, e basta, sia il miglior servizio che si possa offrire.
In famiglia, sino a quel momento, nessuno ha fatto il cronista, ma mio
padre commercia macchine da scrivere: evidentemente è proprio destino, prima o dopo, che io le debba usare.