“Cos’altro è infatti questa raccolta se non un disordine in cui l’abitudine si è talmente ambientata da farlo apparire ordine?” scrive Walter Benjamin a proposito della bibliofilia.
Il contatto tra le parole del filosofo e le immagini di Maurizio Bertinetti, prodotte e collezionate, è diretto.

Nelle cerchie dei fauve, degli impressionisti, nei bar parigini, nelle piazze americane, ovunque l’arte sia diventata specchio del presente ordinario, pop, di futuri appena sbocciati, di proiezioni spicciole quotidiane, Maurizio Bertinetti attinge. Le sue opere e oper-azioni hanno una causticità trasversale, fatta di amore e distacco, entropia, ordine e reinvenzione.

Il processo di scoperta e riproduzione del passato-presente si traduce nella costruzione di una grammatica della modernità. Una anti-grammatica ironica che mette in luce limiti e idiosincrasie della vita occidentale. Bertinetti è un archeologo del presente, un presente che frana day by day sotto il peso degli eventi del mondo globale e va perciò continuamente reinventato.

“I fanciulli infatti posseggono, quale proteiforme pratica mai abbandonata, la facoltà di rigenerare l’esistenza. In loro, nei fanciulli, il collezionare è soltanto una delle possibili procedure di rigenerazione”, continua Benjamin.

E così Maurizio, enigmista produttore di rebus e incroci, inverte e stravolge i ruoli per i quali un artista è un artista è un artista è un artista anche quando si tramuta in collezionista, curatore, mediatore, dealer.
Muove le opere dei suoi autori preferiti, muove i brand degli oggetti chic e kitsch, giustappone e sovverte i segni, togliendo ai simboli il loro potere materiale.

Con Bertinetti & Co., l’artista ha creato una corporation temporanea dell’arte stabilendo circuiti di senso attraverso la relazione tra opere da lui acquistate e se stesso. Come per Jan Fabre che, sulle lapidi dei suoi autori preferiti, danza affermando il proprio imprescindibile legame, Bertinetti sollecita, attraverso l’anti-grammatica del presente, il potere esoterico dell’arte.

E’ un situazionista postmoderno che scompagina la sintassi portando alle estreme conseguenze la pratica del detournement. Il suo lavoro, tuttavia, rimane un enigma.

ENIGMA.
Manuela Gandini

Le opere saranno in mostra dal 5 novembre al 14 dicembre 2021 presso la sede della Galleria “Claudio Bottello Contemporary” in collaborazione con la casa d’aste CapitoliumArt. 

” Tendo a collezionare tutto. Pezzi di legno di recupero, porte, lampadari. Rintraccio, raccolgo e trasporto tutto da solo. Trovo questo processo molto importante.
I luoghi in cui trovo queste cose variano da città a città, ma in genere sono sempre posti ai margini del mainstream, sia da un punto di vista economico che geografico.
La maggior parte dei miei lavori cercano di rivelare il senso di una certa situazione, di un certo momento e di un certo luogo, e spesso è come se fossero ambientati nel passato. Potrebbero quasi essere descritte come opere di fantascienza del passato. Altri lavori, invece, tentano in modo più evidente di riesumare qualcuno o qualcosa. ”

Mike Nelson
Nato a Loughborough (UK) nel 1967, Mike Nelson vive e lavora a Londra. La sua pratica artistica si concentra nel trasformare strutture narrative in strutture spaziali i cui oggetti pongono lo spettatore in una realtà immersiva, e dove la percezione dell’ambiente stesso non può che uscirne scossa. Le narrazioni utilizzate dall’artista non sono teleologiche, ma multistrato e spesso frammentate al punto da poter essere descritte come simili ad “atmosfere”, combinate in modo da trasmettere una percezione di significato. Le opere scultoree più discrete, giocando su questa ambiguità, spesso perdono di contorno, e da sculture tornano ad essere quegli stessi oggetti o materiali da cui sono nate. Lavorando in questo modo, gli aspetti più apertamente politici delle prime opere sono diventati meno didattici, consentendo un’ambiguità di significato nel modo in cui le opere sono fruite e comprese, e costringendo lo spettatore in uno stato in cui la comprensione delle varie strutture della propria esistenza, sia conscia che subconscia, è resa tangibile

 

Ho scoperto che gli esseri umani ordinari senza grandi pretese di essere belli erano in qualche modo cantanti e belli nei loro ritmi. Le persone che preferisco usare ancora e ancora come modelli sono amici [e parenti] con una vita mentale molto vivace… Ho scoperto che dovevo rispettare totalmente l’entità di uno specifico essere umano, ed è tutta un’altra serie di intuizioni, tutta un’altra serie di atteggiamenti, è un’altra idea di bellezza e ha a che fare con il dono della vita, il dono della coscienza, il dono di una vita mentale.

George Segal, 1970

 

Il prolifico lavoro di Segal è nelle collezioni di oltre 100 musei tra cui il Whitney Museum of American Art, il Guggenheim Museum, la National Gallery of Art, il Museum of Modern Art, il Metropolitan Museum of Art, il Walker Art Center, il Philadelphia Museum of Art, l’Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, il National Museum of American Art, il Los Angeles County Museum of Art, il San Francisco Museum of Modern Art e la Art Gallery of Ontario. La sua carriera è stata esaminata in una retrospettiva itinerante nel 1997-98 organizzata dal Montreal Museum of Fine Arts. Nel 1999 ha ricevuto la National Medal of the Arts dal presidente Clinton.