In 72 Paesi del Mondo, essere omosessuali significa commettere reato. In otto di questi (Afghanistan, Yemen, Mauritania, Sudan, Qatar, Arabia Saudita, Brunei e Iran), essere omosessuali significa rischiare la pena di morte. Senza andare troppo lontano nello spazio e nel tempo, la Polonia rappresenta ancora oggi l’ultimo Paese della classifica europea per rispetto dei diritti civili, senza alcun riconoscimento legale delle coppie dello stesso sesso e con un governo conservatore che ha sempre utilizzato l’omofobia come arma per il guadagno di consenso elettorale. Una situazione drammatica anche entro i confini della vicinissima Ungheria, dove la legge anti-gay, entrata in vigore quest’estate (subdolamente travestita da legge contro la pedofilia) è soltanto l’ultimo tassello della campagna di repressione sistematica portata avanti e inasprita da Viktor Oban.
Potremmo parlare della caccia agli omosessuali da parte dei Talebani: persone sequestrate, caricate su degli autobus e portate via per essere sottoposte a “cure mediche ad hoc”. Gli arresti sono già diverse migliaia. Oppure potremmo parlare della Turchia di Erdogan che vieta i Pride e le bandiere arcobaleno, che carica e arresta i manifestanti della comunità LGBT+. O della Russia di Putin o della Cina di Xi Jinping. Tristemente potremmo andare avanti per svariate ore.
Ma lo scenario, crediamo, sia già oltremodo chiaro: Nel nostro mondo, nel nostro ventunesimo secolo, c’è ancora chi deve combattere a costo della propria vita, della propria incolumità o della propria libertà personale, per conquistare il diritto di essere sé stesso.
Persino qui in Italia, in casa nostra, la tutela della comunità LGBT+ non è ancora sufficiente, la classifica di Ilga Europe ci classifica alla posizione 35 su 49 Paesi d’Europa presi in considerazione. Il matrimonio egualitario non esiste, così come vi è un intollerabile vuoto normativo su moltissimi aspetti cruciali per la tutela delle persone, primo fra tutti, a mancare è una legge contro l’omotransfobia.
Per tutte queste ragioni, i Pride, i cortei dell’orgoglio, sono ancora fondamentali. Sono fondamentali per ricordare al mondo che un diritto non è per sempre. Una volta guadagnato, spesso, lo si deve difendere, lo si deve migliorare, perfezionare, estendere, fino a che ogni persona, nei propri diritti fondamentali, possa sentirsi protetta dal proprio Stato e accettata dalla società in cui è inserita.
Quando la Prefettura di Torino ha negato il permesso al corteo del Torino Pride, qualcosa è stato spezzato. La fiducia nel sistema di legalità, di rispetto delle regole e di credibilità delle istituzioni. Perché un corteo no vax o no green pass, senza alcuna autorizzazione e con frequenti episodi di arroganza e violenza, veniva (e continua a venire) tacitamente tollerato ogni fine settimana. Lo stesso per gli assembramenti sul suolo pubblico per la vittoria dell’Italia agli Europei, mentre chi aveva richiesto il permesso per il corteo dell’orgoglio, dell’uguaglianza, dei diritti, si vedeva negata la possibilità di sfilare per le strade di Torino, sulla base di un millantato e infondato pericolo per la sanità pubblica.
Oggi sappiamo che la Prefettura è tornata sui propri passi e che il Torino Pride si terrà il 25 Settembre dalle ore 16. Sarà un giorno bellissimo. Lo è sempre. Un giorno pieno di colore, di musica, di felicità e di lotta nonviolenta per tutta la comunità LGBT+.
Da Torino, affinché in Italia e nel mondo, nessuno debba mai più avere paura di amare.
Patrizia De Grazia
Candidata nella Lista Civica Lo Russo Sindaco