Sono stato amico di Emilio Villa, grande scrittore, critico d’arte, artista e immenso uomo di cultura. Lo conobbi a Roma alla fine degli anni Cinquanta e fraternizzammo subito, complice anche la mia frequentazione con Edgardo Mannucci – altro desaparecido, il più grande scultore informale italiano. Molto spesso io e Emilio accompagnavamo Mannucci ad Arcevia, nelle Marche, dove lui aveva la casa. Da Roma ad Arcevia la distanza sarà di 250 km. Ebbene, in quel percorso non c’era trattoria o bettola che loro non conoscessero. con tutte le specialità e i piatti da evitare. Sia Mannucci che Villa erano due buongustai straordinari, si vantavano entrambi di far parte dell’Accademia della cucina. Ogni nostro viaggio ad Arcevia, andata o ritorno, durava una giornata e si svolgeva come una sorta di processione culinaria.

Emilio Villa a Roma non aveva vita facile. Pare ostacolato da Argan che non riconosceva in Emilio valori accademici, non fu mai ammesso all’insegnamento. Capisco pure che la sregolatezza (anche letteraria e culturale) di Villa non fosse in sintonia con la morigeratezza anche intellettuale del valdese Argan, sempre tutto d’un pezzo. Emilio, grande amico e frequentatore di artisti, mi diceva sempre che aspettava un sostanzioso pagamento da Einaudi per la sua traduzione (pare rivoluzionaria) della Bibbia, di cui invece Einaudi rinviava sempre la pubblicazione, secondo Emilio, per veti occulti. Non so se poi questa famosa Bibbia sia mai uscita.

Emilio era grande amico di Schifano e Uncini, ma soprattutto di Lo Savio che considerava un figlio. Tra i due esisteva un’amicizia profonda, al punto, e questo me lo confermò lo stesso Lo Savio, che spesso progettavano insieme le opere. Ed Emilio, davanti a Lo Savio, mi diceva che lo aveva incoraggiato al minimalismo e al concretiamo che contraddistingue l’opera del grande artista romano, fratellastro di Tano Festa, purtroppo scomparso prematuramente a 28 anni

In ogni caso, di Emilio ho un ricordo curioso e di cui lui andava fiero. Un giorno nella sua casa vidi due sculture di Lo Savio, ancora in lavorazione. Gli chiesi allora come mai fossero lì, e lui orgogliosamente mi disse che le stava realizzando sulla base di progetti che avevano ideato insieme.

Qualche anno dopo, a Düsseldorf, Hans Mayer, noto gallerista tutt’ora operativo, mi confessò che aveva acquistato due importanti sculture di Lo Savio da Emilio Villa e le aveva vendute per un prezzo record ad un notissimo museo tedesco, dove fino a poco tempo fa erano esposte.

Con la mia partenza da Roma, con destinazione Milano, nel 1971, i miei rapporti con Emilio Villa, salvo qualche telefonata, si estinsero. Così finì una grande amicizia e per me uno stimolo intellettuale pungente e dissacratorio.