“Solo continuando a fare cultura si possono vincere pregiudizi e discriminazioni”. E’ molto chiaro il messaggio di Adriana Perulli, cosentina, cinquant’anni compiuti da poco e ben portati, prima presidentessa dell’Arcigay in Calabria.

“Non è stato facile e non è per niente facile – spiega Adriana, che ora vive tra Cosenza e Roma – vivere la propria condizione di omosessuale in un paese come l’Italia. A maggior ragione in una regione come la Calabria. Vent’anni fa sono stata la prima lesbica a fare outing”.

Figlia di imprenditori, Adriana ha da sempre vissuto con molta disinvoltura la propria omosessualità, non nascondendosi e facendo outing in un periodo in cui, in una piccola città calabrese, la notizia fece molto scalpore.  Per un breve periodo ha dato una mano ai suoi familiari in azienda, poi, subito dopo il diploma, si è dedicata all’organizzazione di spettacoli ed eventi.

“ E non capisco – ricorda con amarezza – che differenza possa esserci tra uno spettacolo di piazza organizzato da un etero e quello organizzato da un gay. Eppure – prosegue – a me veniva spesso impedito”.

Nonostante le varie difficoltà, ha continuato a lavorare con passione e professionalità, incontrando anche personaggi politici illuminati, per così dire, che non hanno ostacolato le sue aspirazioni. “Quando a Cosenza era sindaco di Eva Catizone – spiega Perulli – sono stata nominata presidentessa dell’Arcigay, dal 2004 al 2007. E’ stato un bel periodo, abbiamo fatto tante cose. Oggi mi sarei aspettata che qualcuno ricordasse quanto di positivo abbiamo lasciato, ma devo notare con rammarico che le discriminazioni esistono anche tra noi, non solo nel mondo “esterno”. L’attuale sindaco (Mario Occhiuto ndr) non ha voluto dare patrocini all’Arcigay – chiarisce ancora – poi invita Skin a fare il concerto di Capodanno 2018. Sono cose che non mi spiego”. Anche per superare le difficoltà lavorative nella sua regione, Adriana oggi vive tra Cosenza e Roma, con uno sguardo aperto al mondo. Un mondo, a parere di Adriana, in cui l’ignoranza è tanta e i diritti delle famiglie di fatto non sono sufficientemente riconosciuti. “Ho convissuto con una donna che aveva già una figlia. Quando la piccola aveva 8 annni però, il nostro rapporto è finito. E’ stato più difficile – si emoziona – lasciare la bambina che la mia compagna, con la quale rimane un ottimo rapporto. Tuttavia io non ho nessun diritto su mia figlia adottiva, che oggi ha 13 anni e vive con la madre all’estero. Io rimarrò sempre la sua “papina”, ma di fatto non ho alcun potere di incidere sulla sua formazione. E’ triste.”

“L’unica via – conclude – per giungere ad una piena affermazione dei diritti, è quella di fare cultura. Per questo ho fondato un’associazione, per dare un contributo fattivo, continuando a organizzare spettacoli, la mia professione. Solo con la cultura è possibile combattere e vincere i pregiudizi e affermare parità di diritti”